mercoledì 26 agosto 2009

Umberto Veronesi: in attesa di "Science for peace" e dell'incontro con Obama

Umberto Veronesi, con Kathleen Kennedy (primogenita di Bob), promuove l’iniziativa “Science for peace” (“Scienze per la pace”). Lo scopo è quello di destinare i soldi non spesi per le armi a ospedali, scuole, ricerca scientifica. Come nasce questa idea?
Ho voluto far nascere “Science for peace” per un dovere morale profondamente sentito, perché la scienza può e deve offrire una base di conoscenza antropologica, psicologica, e filosofica alla pace. Credo che gli scienziati possano e debbano contribuire al processo di pacificazione mondiale, sviluppandolo e accelerandolo. La scienza in sé infatti è una forza pacificatrice perché dissemina la razionalità - mentre la guerra è una soluzione irrazionale dei conflitti - ed ha un linguaggio universale che non conosce frontiere e nazionalismi.
Qualche punto contenuto nel manifesto di “Science for peace”?
Il primo mira a promuovere programmi di educazione alla pace rivolti al mondo della scuola. Il secondo ha lo scopo di prevenire le conflittualità fra i popoli, soprattutto quelle di natura religiosa. Il terzo concerne l’applicazione del codice etico nel mondo bancario, che impegna moralmente le banche a ridimensionare progressivamente i finanziamenti alle aziende che producono armi. Il quarto e il quinto riguardano la mobilitazione di scienziati per una progressiva riduzione degli armamenti e la necessità di ridurre le spese militari del 20% in 7 anni.
Quanti sono in tutto?
Nove.
È vero che hanno già aderito 20 Premi Nobel?
Certamente.
Può farci qualche nome?
Il Dalai Lama e Shirin Ebadi, Nobel per la pace; Renato Dulbecco e Rita Levi Montalcini, Nobel per la medicina; George A. Akerlof e Clive W.J. Granger, Nobel per l’economia; Alan J. Heeger e Harold Walter Kroto, Nobel per la chimica; Claude Cohen-Tannoudji e Albert Fert, Nobel per la fisica.
Come può essere vista questa iniziativa alla luce della grave crisi economica in atto?
Come medico, vicino ai bisogni delle persone, so molto bene che la gente, come prima cosa, non vuole il dolore; e la guerra è il più grande dei dolori. La situazione di crisi mondiale che agita, anche nelle popolazioni occidentali cresciute nel benessere, lo spettro della povertà, non fa che acuire questo bisogno di sfuggire alla sofferenza evitabile. La crisi richiede delle risorse aggiuntive per le urgenze sociali: la soluzione più ragionevole è ricavarle dalle spese militari, che assorbono fondi molto elevati.
Peraltro parliamo di un apparato bellico pressoché inutilizzato...
Infatti. È assurdo. Per mantenere un costoso e sofisticato apparato bellico non riusciamo più a seguire adeguatamente le nostre famiglie, gli ospedali non vengono ristrutturati, l’accesso alle cure adeguate non è garantito a tutti e la ricerca scientifica, che potrebbe dare una nuova spinta al benessere, languisce nei laboratori deserti. La proposta di Science for Peace può quindi essere un aiuto anche per superare la crisi economica.
L’appuntamento sarà a Milano per i primi tre giorni di novembre...
La prima edizione della Conferenza Annuale di Science for Peace - a cui parteciperanno oltre a numerosi premi Nobel, scienziati di tutte le discipline e personaggi della cultura internazionale - è programmata dal 20 al 22 novembre di quest’anno a Milano.
I grandi temi del dibattito?
Discuteremo di basi culturali per lo sviluppo del concetto di pace; di proposte concrete per la costruzione della pace e la risoluzione delle ostilità; di prospettive per un’efficace prevenzione dei conflitti.
E a proposito del documento che verrà consegnato a tutti i governi...
Al termine della Conferenza si chiederà ai partecipanti di sottoscrivere un documento collettivo che sarà consegnato ai governi europei allo scopo di illustrare le tematiche discusse durante la Conferenza e sensibilizzare il mondo politico sulle conseguenze positive dell’attuazione di azioni di pace.
Altre iniziative?
In parallelo alla Conferenza, sempre a Milano, si terranno due tavole rotonde rispettivamente sul tema della legislazione internazionale per la pace (presso il Palazzo di Giustizia) e sul rapporto tra politica estera e sicurezza internazionale (all’Università degli Studi).
Parafrasando Benedetto Croce “La violenza non è forza, ma debolezza, né mai può essere creatrice di cosa alcuna, ma soltanto distruggerla”. È sempre d’accordo con questa affermazione?
È la storia stessa a confermarla: storicamente tutti gli indicatori e le analisi retrospettive dimostrano che i conflitti di ogni tipo hanno creato disordine, regressione civile e arresto della crescita e del benessere. Viceversa le grandi spinte civilizzatrici e di progresso dell’umanità sono occorse soprattutto in tempi di pace. Ad esempio gli ultimi decenni di assenza di conflitti mondiali sono stati teatro di avanzamenti scientifici e tecnologici e civili senza precedenti. La violenza, o la gestione violenta dei conflitti, è prima di tutto una forma di irrazionalità.
Sulla sua stessa linea filosofica c’è anche Barack Obama. A quando l’incontro con il presidente americano?
Ancora non c’è una data.
Venendo alla ricerca scientifica in ambito oncologico, Milanoweb ha assistito qualche mese fa a un incontro dal quale emergeva il seguente dato: “Nell’ultimo trentennio la vita media è aumentata di dieci anni grazie alla medicina, con un contributo di oltre sei anni della cardiologia, contro 2,4 mesi dell’oncologia”. Quando anche la lotta ai tumori riuscirà ad essere altrettanto incisiva?
Sono convinto che battere il cancro è ormai una questione di alcuni decenni (che, dal punto di vista della scienza, equivalgono a un periodo brevissimo). Non è possibile naturalmente fornire un tempo preciso, una scadenza esatta, perché la ricerca scientifica, in biomedicina, così come nelle altre discipline, vive in primo luogo di metodo e di principi, ma anche di intuizioni, di casualità, di fughe in avanti e di battute d’arresto. È comunque ragionevole pensare che fra qualche decina d’anni - non saprei dire se si tratterà di trenta o cinquant’anni, ma l’ordine di grandezza è quello - e con l’aiuto delle conoscenze sul DNA umano e le nuove tecnologie in grado di studiarlo, riusciremo ad avere un controllo decisamente più esteso della malattia tumorale.
La ricerca, in effetti, sta compiendo passi da gitante...
Negli ultimi anni la ricerca ha preso un passo tale che, facendo un esercizio matematico, cioè valutando le scoperte degli ultimi dieci anni e il progressivo calo di mortalità, possiamo fare delle previsioni. E dire che, continuando così, saremo in grado in un tempo non molto lontano di dare la spallata finale a questa malattia che fino a 50 anni fa si pensava imbattibile.
Intanto, da qui al 2020, sconfiggeremo il tumore al seno, fra le maggiori cause di morte nei paesi industrializzati...
È un obiettivo realistico. “Mortalità zero” è infatti il traguardo dello studio clinico che ho promosso con la Fondazione che porta il mio nome e l’Istituto Europeo di Oncologia, sulla chirurgia radioguidata delle lesioni mammarie non palpabili, piccolissime, quelle che hanno la massima probabilità di guarigione.
Una nuova tecnica d’avanguardia...
Già testata con successo su migliaia di pazienti e grazie alla quale - raccogliendo ulteriori dati sulla sopravvivenza e sul controllo della malattia - potremo rinforzare la convinzione dell’importanza della diagnosi precoce del carcinoma della mammella.
Tumore mammario piccolissimo, uguale massima probabilità di sopravvivenza...
Massima curabilità e anche ottima probabilità di risultato estetico eccellente. Potremo quindi dimostrare, ancora una volta, che anticipare la diagnosi e le cure rende quello “zero” sempre più vicino.
Chiudiamo ringraziandola per la sua disponibilità e ponendole le ultime due domande che facciamo a tutti coloro che – nati o vissuti per lungo tempo a Milano – stanno facendo la storia della città. Cosa si ricorda della Milano di quando era bambino?
Tutta la mia vita è legata a questa città. Sono nato in una cascina alla periferia orientale di Milano, tra i prati, e sono cresciuto parlando il dialetto. La città però era una realtà sconosciuta, e a me e ai miei cinque fratelli il Duomo sembrava molto lontano. Solo frequentando la scuola mi sono avvicinato alla città, che era allora assai più piccola di quanto non sia oggi.
E quali sono gli angoli della città che predilige?
Ho la fortuna di abitare nei pressi dell’area dei Giardini Pubblici di via Palestro, che trovo bellissima.

(Intervista condotta il 27 aprile 09)

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