giovedì 20 agosto 2009

“Jahmekya”: il paradiso della Black Music

Ciao Andrea, partiamo dal nome... Cosa vuol dire Jahmekya?
È una parola rasta. Significa “Creato da Dio”.
Da quando esiste questo negozio?
Dal 1998.
In realtà non è solo un negozio...
Infatti. Siamo anche una casa di distribuzione. E fra poco venderemo anche vestiti: pantaloni, tshirt, felpe...
Streetwear style?
Esatto.
Parola d’ordine, comunque, sempre ‘black music’...
Direi di sì.
Un vantaggio o uno svantaggio?
Sicuramente un vantaggio.
Come mai?
Siamo un punto di riferimento per una clientela di nicchia che rimane fedele più a lungo ai negozi specializzati.
Cosa è cambiato dal 1998 a oggi?
Tutto. Purtroppo si vendono sempre meno dischi. La crisi nel settore discografico è iniziata molto tempo prima di quella odierna che sta coinvolgendo l’economia mondiale. E ormai c’è ben poco da fare...
E voi come ve la cavate?
Vendiamo molto per corrispondenza e online. In negozio, la clientela, è in continuo calo.
Le cose, probabilmente, sono iniziate a precipitare con i download gratuiti effettuabili tramite internet...
Non solo. È anche una questione di “testa”.
Cioè?
È cambiata la testa dei giovani e il loro modo di usufruire della musica. Oggi i ragazzi consumano musica in maniera disorganizzata. Ne hanno così tanta a disposizione che ascoltano tutto e niente. Negli anni Novanta – e ancora prima – era diverso. Chi comprava un disco, lo ascoltava così tante volte da consumarlo. Poi si analizzavano la copertina, i testi, i nomi dei produttori. I negozi di dischi diventavano anche dei punti di ritrovo per conoscere nuovi amici, e scambiarsi pareri musicali. Con la Rete è saltato tutto.
Oggi, peraltro, ci sono molti modi diversi per passare il tempo...
Sicuramente. La musica è diventata uno fra i tanti hobby possibili. Basti pensare alle ore che si perdono su Facebook o Myspace.
In quanti lavorate per Jahmekya?
Considerando anche l’attività di distribuzione, in cinque.
Mi dici quali sono i generi principali proposti dal negozio?
Tutta la musica giamaicana dalle origini ai giorni nostri, quindi dal calypso degli anni ’40-’50 fino alla dancehall più moderna, passando per ska, rocksteady, roots, dub... e poi anche soul, funk, hip-hop...
E qualche artista cult?
Ce ne sono veramente tanti…
Un paio?
Ne cito quattro: Dennis Brown e Skatalites per chi ama i classici; Sizzla e Albororie per chi segue la scena odierna. Ma sono comunque una goccia nell’oceano...
Il cliente tipico di Jahmekya?
I 45 giri giamaicani vanno forte fra i giovani di età compresa fra i 18 e i 30 anni. Gli over 30 acquistano soprattutto Cd. Spesso, però, capitano anche dei cinquantenni appassionati di black music.
Con i cd e i dischi vendete anche giornali e riviste specializzate...
Abbiamo “X News” che importiamo direttamente dalla Giamaica e “Superfly”, rivista che si trova in poche edicole, ma con ottimi contenuti. C’è poi “Rasta Snob”, fanzine storica che tratta esclusivamente di reggae. Infine vendiamo libri (anche fotografici) di approfondimento sulla cultura rasta e sulla storia della musica giamaicana.
Il tuo negozio sorge nella stessa via dove un tempo era attivo il mitico Binario Zero. Conosci il motivo della sua chiusura?
Non so, ormai è da 3 o 4 anni che ha chiuso i battenti.

(Intervista condotta il 20 marzo 09)

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