venerdì 29 gennaio 2010

"Chi finisce per strada è perchè ha perso tutto"

Ciao Mario, innanzitutto un dato: i senzatetto a Milano stanno crescendo sempre di più. Si vede anche dall'aumentata frequenza nei dormitori. Puoi spiegarci meglio la situazione?
È un dato che confermo. Nell'ultimo anno i senzatetto sono aumentati sia fra gli stranieri che fra gli italiani. Fra gli stranieri ci sono soprattutto uomini provenienti dell'Europa dell'est e nordafricani. In parte sono regolari, in parte no.
Qualche percentuale?
Gli stranieri sono il 70%; la restante parte sono italiani. Nel 90% dei casi si tratta d'individui di sesso maschile.
C'è differenza fra un clochard italiano e uno straniero?Certamente. Per uno straniero la situazione è in genere meno complicata. Venendo in Italia mettono quasi sempre in conto di dover trascorrere un certo periodo per strada prima di trovare un lavoro o una sistemazione più sicura. Per gli italiani è diverso. Chi finisce per strada è perché ha perso tutto, famiglia, lavoro, amici, e quindi la sua reintegrazione risulta più difficile.
Per gli italiani credi che abbia inciso la crisi economica?
Sicuramente. È stato un anno difficile per tutti, specialmente per chi era già in condizioni critiche prima del patatrac economico.
Quanti sono i senza fissa dimora in città?
Difficile dirlo. C'è chi pensa che siano 3mila e chi 4mila. Dipende poi se si considerano anche i rom. Senza i rom?
Dovrebbero essere circa 2mila.
L'anno scorso hai anche parlato di ricovero coatto per tutti i senzatetto che rifiutano di essere aiutati. È accaduto anche quest'anno?
In realtà è soltanto una proposta che non abbiamo mai avuto modo di rendere operativa. La consideriamo utile nei casi di emergenza, come quando sopravviene il grande freddo di questi giorni.
Non tutti però accettano l'aiuto di associazioni come City Angels…
È vero. Sono soprattutto i malati di mente e gli alcolizzati, che in pratica non si rendono conto dei rischi che corrono. Problemi analoghi si hanno in presenza di coppie che non vogliono separarsi o di persone che vagabondano con animali. Inoltre c'è chi ritiene il dormitorio un luogo insicuro dove i furti sono all'ordine del giorno.
Lo è davvero?
Purtroppo sì. Spesso c'è chi si lamenta di essersi svegliato e di non aver trovato più le scarpe.
Ma non c'è la vigilanza?
C'è sempre, tuttavia è praticamente impossibile riuscire a controllare tutti i presenti.
Si può fare un identikit del senzatetto milanese?
Il clochard straniero ha di solito un'età compresa fra 20 e 40 anni. L'italiano è un po’ più anziano: va dai 30-35 ai 55 anni. Più rari i settantenni.
Ci sono stati casi di senzatetto che sono riusciti a reintrodursi nella società?
Sì, ma sono stati abbastanza rari. Di solito - soprattutto gli italiani - se finiscono per strada, lì rimangono. L'esempio più bello di un clochard che è ritornato alla vita 'civile' è quello di Angelo Starinieri che ha anche scritto un libro, "Angelo smarrito".
Di cosa parla?
Della sua esperienza per strada. Era un facoltoso manager, cui le cose sono improvvisamente andate storte. Alla fine ha trovato una sola via d'uscita: la stazione ferroviaria di Cadorna. Poi, però, è riuscito a riemergere e ora è attivissimo nel volontariato.
Nella vostra attività cercate anche di trovar lavoro a chi l'ha perso?
Molti clochard finiscono per strada proprio perché perdono il lavoro. Il 60% dei senzatetto italiani potrebbe lavorare, così l'80% degli stranieri. Da parte nostra riusciamo spesso a trovare delle sistemazioni lavorative provvisorie, lavoretti che comunque consentono di restituire la dignità a chi l'ha perduta.
C'è però anche chi non ha tanta voglia di lavorare…
Sicuramente. Molti preferiscono rubare o passare il loro tempo a ubriacarsi.
E il problema racket?
Purtroppo è ben radicato.
In quali zone si fa sentire di più?
In Stazione Centrale, dove viene gestito dai due gruppi etnici più forti, i marocchini e i rumeni.
Come si comportano in queste situazioni?
Pretendono di gestire loro la distribuzione degli aiuti, cosa che invece spetta a noi. Succede anche in questi giorni con i tre tendoni che abbiamo allestito appena fuori la stazione. I capi clan fanno la lista di chi ha il 'diritto' di riposare nelle strutture riscaldate…
Poi come va a finire?
Spesso è necessario alzare la voce, ma alla fine riusciamo nel nostro intento di soccorrere chi ne ha più bisogno.
A proposito di aiuti, finalmente sono arrivati i 10mila euro dalla Provincia…
In realtà non sono ancora arrivati. Speriamo arrivino presto.
Quale la loro finalità?
Sovvenzionare i corsi per i volontari, per tutti coloro, quindi, che vogliono diventare City Angels.
Aumentano i volontari?
C'è stato un lieve aumento. In realtà il fatto è più che positivo, dato che nei periodi di crisi il numero di volontari tende a diminuire.
In tutto quanti sono i City Angels?
A Milano siamo un centinaio. In Italia almeno cinquecento.
Ci dici qualcosa di Casa Silvana?
È la nostra casa-famiglia di emergenza. Originariamente concepita per ospitare solo donne, oggi diamo anche la precedenza a uomini in condizioni particolari.
Un esempio?
Stasera abbiamo soccorso un clochard di 73 anni per il quale un'altra notte all'addiaccio sarebbe stato un grosso problema.
Quanti i posti disponibili?
Sulla carta dieci. Poi, però, arriviamo ad ospitare anche venti senzatetto.
E per quanto tempo possono rimanere?
Di solito non più di tre notti. In rari casi, però, siamo arrivati a ospitare dei clochard per un paio di mesi.
Dove finiscono i 'senza fissa dimora' che lasciano Casa Silvana?
Cerchiamo di indirizzarli verso altri centri assistenziali come quello di via Ortles.
L'avventura dei City Angels inizia nel 1994 grazie a Mario Furlan. Puoi dirci cosa è scattato nella tua mente e come sei arrivato a dar vita a questa bellissima realtà milanese?
Lavoravo come giornalista alla Mondadori per il settimanale "Noi" (oggi "Chi"). A un certo punto mi sono reso conto che le notizie che scrivevo volevo anche viverle. Così mi sono licenziato e ho fondato l'associazione, dando vita a un vero e proprio gruppo di 'angeli della strada'.
Come vanno i rapporti con le altre associazioni che si occupano dei più diseredati?
Molto bene. Collaboriamo un po’ con tutti, Caritas, Associazione Fratelli di San Francesco, Associazione Ronda carità…
Parliamo un po’ del tuo ultimo libro 'Donne basta paura'…
È il primo libro che affronta l'autodifesa non solo dal punto di vista pratico, ma anche da quello psicologico. Perché quando si subisce un'aggressione oltre a reagire fisicamente, è fondamentale sapere riacquisire il giusto equilibrio mentale.
Chi sono i vostri testimonials?
Il primo che vorrei citare è Alberto Fortis, un ottimo cantautore e un mio caro amico. Poi ci sono Gabriele Cirilli e Pippo Franco.
Infine quali requisiti è necessario possedere per diventare un City Angels?
Ti dico subito che non servono grandi muscoli, ma basta un grande cuore. Al di là di ciò è necessario avere 18 anni compiuti, seguire un corso teorico, pratico e su strada, imparare tecniche di psicologia e comunicazionedi primo soccorso, di squadra (per sapere come muoversi in gruppi da 3 a 6 volontari) e di autodifesa, pagare una quota annuale di 35 euro comprensiva di iscrizione e di assicurazione.

mercoledì 20 gennaio 2010

"Con Twitter consentiremo al pubblico di interagire da casa"

MW intervista Gianluigi Paragone, vicedirettore di Rai Due, pronto a esordire col nuovo programma 'L'ultima parola', realizzato dal centro di Produzione Tv Rai di Milano, negli studi di via Mecenate.
Partiamo proprio dal nome del programma, 'L'ultima parola'…
Lo abbiamo scelto perché cade di venerdì, l'ultimo giorno feriale della settimana, dove si concentrano tutte le notizie più importanti, di attualità, politica, cronaca, costume. Poi perché miriamo al confronto fra 'ultime parole': le mie, quelle degli ospiti, e delle persone che ci seguiranno.
A che ora andrà in onda?
In seconda serata, dopo le 23.00.
Cosa c'è di diverso rispetto a 'Malpensa Italia', la tua trasmissione tv dell'anno scorso?
Con 'L'ultima parola' vorrei dare meno spazio al Palazzo, per mettere in evidenza soprattutto le relazioni fra politici e gente comune, due mondi che devono imparare di nuovo a frequentarsi.
I politici da una parte, dall'altra il racconto di vite vissute…
Esattamente.
Quale sarà l'argomento della prima puntata?
Parleremo di legge, o meglio mala legge.
Un'indicazione per i nostri lettori?
Proprio oggi leggevo sul Corsera della bufera sul comune di Subiaco 20 anni fa, poco prima di Tangentopoli. Molte persone finirono in manette ingiustamente. E solo oggi vengono completamente scagionate. Affronteremo casi come questi, ridando, se possibile, dignità a chi l'ha perduta.
Prossimamente?
Daremo spazio ad aspetti di cronaca riguardanti il meridione. Tratteremo, per esempio, i casi di Scampia, Rosarno…
Una delle novità del tuo programma sarà la Rete…
Infatti. "L'ultima parola" sarà corredato da un innovativo progetto internet basato sull'interazione e pensato per sfruttare appieno tutte le possibilità del social media e del Web 2.0.
E Twitter (social network e microblog che permette di condividere informazioni in tempo reale)…
Con Twitter consentiremo al pubblico di interagire da casa.
So che è la domanda che ti stanno facendo tutti… Sarai tu l'anti Santoro?
Rispondo alla 'domanda protocollo' dicendo che io non sono e non sarò l'anti Santoro per almeno tre motivi: il primo riguarda il fatto che - essendo nato nel 1971 - faccio parte di un'altra generazione. Secondo, Santoro è uno straordinario professionista del quale invidio la grande capacità di tenere in mano lo studio, ma è anche un conduttore che ha molta più esperienza di me. Infine i nostri programmi saranno diversi anche per ciò che riguarda le intenzioni e i contenuti.
Sarai un conduttore alla Tortora…
Lui sapeva raccontare l'Italia come nessun altro.
Un flash sull'esordio dell'anno scorso?
Alla prima puntata c'erano Tremonti e D'Alema.
Qualche altro nome?
Abbiamo anche ospitato Schifani, Casini…
Tra poco saremo in piena campagna elettorale per le regionali… 'L'ultima parola' spetterà a voi…
Senz'altro.
Come giudichi il lavoro di Formigoni?
Ha governato per un lungo periodo… Ha saputo creare quello che è ormai definito da tutti il 'modello lombardo'. Spero solo che non gli venga a mancare l'entusiasmo. Peraltro in questa occasione dovrà vedersela con un rivale - Penati - con un progetto politico ben definito, e un carisma notevole.

'Twenty Questions' a Mauro Tedeschini

Nome, cognome e luogo di nascita...
Mauro Tedeschini, Modena.
Che soprannome aveva da piccolo?
Cocco.
Il primo ricordo dell’infanzia?
Un pallone perso in un canale.
Su che giornale ha scritto il primo articolo?
Prima Comunicazione.
Il nome del giornalista che, più di altri, ha influito sul suo stile...
Gianni Brera.
In che percentuale gli assunti regolarmente in una redazione si possono dire ‘raccomandati’?
Nella nostra inesistente.
Lenin diceva che “i comunisti sono la parte progressiva più risoluta dei partiti operai di tutti i paesi; Mussolini che “il fascismo non è un partito, ma un movimento”. Quale frase preferisce?
Nessuna delle due.
Cosa ama di Milano?
La capacità di accogliere chi ha voglia di fare.
E cosa la disgusta?
La mancanza di verde.
Un vizio al quale non può rinunciare...
Guardare in continuazione il sito web di Quattroruote, anche nei week end.
Proust diceva: “Lasciamo le donne belle agli uomini senza immaginazione”. Come interpreta questa massima?
Come una bella frase di uno scrittore che ha fatto di meglio.
L’effetto serra: è tutta colpa dell’uomo... Oppure: l’uomo non c’entra niente, è la natura che fa il suo corso...
È colpa dell’uomo.
Scopriremo gli extraterrestri fra il 2015 e il 2025. È il parere di molti scienziati. Dovesse incontrarne uno affamato, che piatto gli consiglierebbe?
Le tagliatelle di mia mamma.
Quanto è difficile pronunciare la parola “ti amo”?
Molto difficile.
Emily Dickinson spiegava così l’aldilà: “È invisibile come la musica, ma concreto come il suono”. Margherita Hack invece: “Io non credo assolutamente né a Dio, né all'anima, né all'aldilà: l’anima è nel nostro cervello”. Dove si ritrova di più?
Nella frase di Dickinson.
Quante mail riceve in media al giorno il direttore di un giornale importante come il suo?
Circa 200.
E quante ore passa al telefono?
Un’oretta.
Salari bassi per molti, altissimi per pochi. È la cosiddetta crescita diseguale, (in inglese “growing unequal”, secondo l’Ocse (Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico). Perché l’uguaglianza sociale continua a essere un’utopia?
Perché in giro c’è troppo egoismo.
La sera prima di addormentarsi... un quotidiano o un romanzo?
A volte l’uno, a volte l’altro.
Un pomeriggio di relax: un disco rock o un cd di musica classica?
Un disco rock.

giovedì 14 gennaio 2010

"I figli a un certo punto bisogna lasciarli andare"

Ciao Luca, arriviamo a te dopo aver intervistato Mirko Perniola, nuovo sceneggiatore di BonelliEditore. Anche per te, quindi, la prima domanda è d'obbligo: su cosa stai lavorando in questo periodo e quando potremo vedere in edicola i tuoi nuovi albi?
I miei personaggi, prima “Gea” e ora “Lilith” hanno cadenza semestrale, dovendo fare tutto da me: soggetto, sceneggiatura e disegni. Il terzo episodio di Lilith, “Fronte di pietra”, ambientato sul fronte italiano durante la Prima guerra mondiale, è uscito in novembre e lo si trova ancora in edicola. Il prossimo uscirà nel giugno 2010 e avrà come tema la guerriglia confederata tra Kansas e Missouri.
Lilith è forse la tua creatura più importante. Puoi descrivere in due parole la protagonista e i luoghi in cui si svolgono le sue avventure?
Lilith è una “cronoagente” inviata nel passato da un remoto futuro per dare la caccia agli inconsapevoli e incolpevoli portatori di un parassita alieno – il Triacanto - che, se non contrastato, si diffonderà in maniera incontrollata e germinerà sterminando la razza umana.
Come ti è venuta l'idea di Lilith? A chi ti sei ispirato?
I viaggi nel tempo sono sempre stati un sogno nel cassetto per me; l’idea di poter ambientare le avventure dei miei personaggi in epoche storiche differenti mi affascina e nello stesso tempo mi atterrisce, visto la mole di documentazione necessaria per costruire delle vicende credibili sul piano storiografico. Per un autore è difficile individuare una precisa fonte per le sue opere. Spesso esse si mescolano in un amalgama eterogeneo in cui confluiscono letture dell’infanzia, personaggi attuali e classici, film, telefilm e qualsiasi cosa possa aver fornito uno scampolo di ispirazione. Per “Gea” dissero che mi ero ispirato a “Buffy l’ammazzavampiri”, ma chi se l’è mai filata quella sciacquetta? Piuttosto “Pippi Calzelunghe”, un mio cult dell’infanzia!
Quanti sono gli albi previsti?
Il contratto è decennale quindi è previsto un massimo di 20 numeri, come era per Gea, anche se poi l’ho terminata al 18°.
Luca Enoch 'sfonda' dopo aver dato vita a Gea, personaggio dei fumetti pubblicato dal 1999 al 2007. È l'unica serie Bonelli in cui sceneggiatore e disegnatore coincidono. È stato dura dire addio a Gea dopo 18 numeri?
I figli a un certo punto bisogna lasciarli andare. Così è stato per “Sprayliz”, la diciassettenne graffitara, e poi per Gea. Mi piace pensare di potere riprendere questi personaggi in futuro, e la cosa è certamente possibile, ma la verità è che finché lo spirito creativo ti sferza, sei sempre spinto verso nuovi esperimenti narrativi.
Altra figura storica di Bonelli è Legs Weaver, il primo fumetto della casa editrice milanese interamente dedicato a una donna. In che modo hai contribuito alla buona riuscita del fumetto?
Legs è stato il personaggio che mi ha permesso di entrare in Bonelli, dopo aver passato un decennio buono a rimbalzare tra le redazioni. La spin off pensata da Antonio Serra era molto nelle mie corde, non assomigliava al comprimario serioso di Nathan Never; dava spazio a molte interpretazioni, anche grafiche, e questo ha “sdoganato” il mio tratto poco realistico e mi ha dato la possibilità di scrivere e sceneggiare alcuni episodi. Dopo questa esperienza come autore unico arrivò l’offerta di Bonelli per una serie a fumetti interamente autogestita.
Nel 2001 pubblichi per l'editore francese Les Humanoides Associès, Morgana, saga tecno-fantasy. Hai in programma altri lavori oltralpe?
Con gli Humano abbiamo avuto, Mario Alberti ed io, una brutta esperienza. Morgana si è fermata al quarto albo, con il quinto già in lavorazione, a causa delle difficoltà finanziarie della casa editrice. Io ho avuto una storia giallo-storica – “Rangaku” - disegnata da Maurizio Di Vincenzo, troncata a metà e un’altra serie con un disegnatore esordiente, Matteo Lolli, abortita con il primo albo quasi concluso. Per ora Lilith, a cui si aggiunge il lavoro di sceneggiatore per Dragonero, assorbe tutto il mio tempo; ho in cantiere un impegnativo progetto di graphic novel per la Rizzoli, ma finché non ho il contratto firmato in mano non ne parlo!
Che rapporti hai con gli altri disegnatori della tua generazione?
A parte parlarci male alle spalle e rubarci le idee a vicenda? E chi li vede mai? Io sto tutto il giorno nel mio studio/loculo a inventare storie inverosimili…
Ti piace Carlo Ambrosini?
È un bell'uomo. Mascella volitiva e spalle larghe. Ma credo proprio sia eterosessuale quindi non farci su delle fantasie.
Preferivi Napoleone o Jan Dix?
Non si fa! Come chiedere a un mio collega se preferiva Gea o gli piace di più Lilith. Ce le leghiamo al dito queste cose!
Se un adolescente dovesse confidarti il suo sogno di voler fare il fumettista, cosa gli diresti?
Dipende dall’apostrofo. Se è un adolescente gli dico di lasciar perdere, che è un mestiere senza futuro, che è meglio che si dedichi allo studio di videogiochi o di applicazioni grafiche per la telefonia. Se è un’adolescente mi offro di farle da mentore. Ho 47 anni… la crisi di mezza età incombe!
Visto il lavoro che fai, comprenderai bene il legame che spesso viene a crearsi fra disegno e scrittura. Alla luce di ciò vien da pensare che, probabilmente, anche la musica (l'arte più astratta, secondo Morricone, e per questo più vicina a Dio) possa in qualche modo influenzare il lavoro di un fumettista. Sei d'accordo con questa considerazione?
Io lavoro con la musica. Ho il pc costantemente acceso e ascolto cd, radio in streaming, scarico podcast, cerco su Youtube quello che non riesco a trovare altrove. La musica accompagna ogni mio momento creativo, dalla scrittura alla realizzazione grafica delle tavole. In Gea l’aspetto musicale aveva grande importanza e spesso sulle tavole finivano testi di canzoni che stavo ascoltando al momento della sceneggiatura.
I tre dischi che, in ogni caso, ti hanno segnato di più…
“Born to run” di Bruce Springsteen; “Blue Valentine” di Tom Waits; “Greatest Hits” di Simon & Garfunkel.
E i tre libri di narrativa…
“Cent’anni di solitudine” di Gabriel Garcia Marquez; “Le Cosmicomiche” di Italo Calvino; “Cronache marziane” di Ray Bradbury.
Curioso il tuo cognome 'Enoch', derivante dall'antico testamento dall'omonimo patriarca biblico, padre di Matusalemme. Puoi dirci qualcosa di più delle tue origini, oltre al fatto che sei nato a Milano?
Padre di Matusalemme, bisnonno di Noè, assunto in cielo senza passare dal Via, trasfigurato nell’angelo Metatron (che sembra il nome di un Trasformer)! Un bel pedigree, dovrei essere in una botte di ferro per quanto riguarda l’aldilà. La mia famiglia è di chiare origini ebraiche; non so quando, ma un mio bisavolo deve aver deciso a un certo punto di assicurare un futuro meno travagliato alla sua discendenza facendosi battezzare.

giovedì 7 gennaio 2010

"Purtroppo i fondi disponibili per i nostri studi sono molto pochi"

Annamaria Vezzani è la prima ricercatrice italiana a vincere il premio internazionale dell'American Epilepsy Society, che ogni anno viene assegnato a uno scienziato che si è distinto nella ricerca contro l'epilessia. Come ci si sente a ricevere un premio così importante?
Sono molto contenta e onorata di questo riconoscimento. Il merito, però, non è solo mio, ma anche dei miei giovani colleghi di laboratorio e dei miei collaboratori internazionali. A tal proposito colgo l'occasione per ringraziarli tutti.
È stata dura arrivare fin qui…
Posso sicuramente dire che il nostro lavoro richiede grande impegno, passione e sacrifici, e spesso porta a fermarsi in laboratorio fino a tarda sera e a lavorare durante il weekend.
Quali sono i risultati che le hanno permesso di raggiungere questo traguardo?
Direi i nostri studi sullo sviluppo di nuove strategie terapeutiche per contrastare le crisi epilettiche. In particolare le ricerche svolte su modelli di epilessia in laboratorio, che hanno permesso di dimostrare il contributo dei processi infiammatori nel cervello nella comparsa delle crisi e la possibilità di ridurre gli eventi clou della malattia con farmaci specifici. Inoltre abbiamo sviluppato una terapia genica per il controllo delle crisi resistenti ai farmaci anticonvulsionanti. Quest'ultima si basa sull'introduzione nel cervello di un gene che produce una proteina con attività anticonvulsionante.
Cosa succede in questi casi?
Quest'applicazione permette la produzione di una sostanza protettiva che agisce sulle crisi riducendole significativamente. Essendo una tecnica invasiva, però, verrebbe indirizzata solo ai pazienti resistenti ai farmaci, come alternativa alla rimozione chirurgica del tessuto cerebrale epilettico.
E a livello pratico?
Siamo ancora indietro. Quelli menzionati sono, infatti, approcci terapeutici in fase di studio e non applicabili in questo momento.
La Vezzani è a capo del Laboratorio di neurologia sperimentale dell'Istituto Mario Negri di Milano. Come procede, in generale, la ricerca nel campo della lotta all'epilessia?
Con molta buona volontà da parte dei ricercatori e molto lavoro a tempo pieno, studio e diffusione delle nuove conoscenze nei convegni nazionali e internazionali. La sinergia con altri istituti è, dunque, fondamentale: permette, infatti, di confrontarsi sui risultati ottenuti e di migliorare le nostre conoscenze sulla malattia.
E per ciò che riguarda i fondi per la ricerca?
Purtroppo i fondi disponibili per i nostri studi sono molto pochi e questo fattore rallenta le nostre possibilità di progredire nelle conoscenze della patologia.
Nei suoi studi si parla spesso di una relazione fra processi infiammatori e crisi epilettiche. In che modo la 'scarica di elettricità' a livello cerebrale, tipica dell'epilessia, può essere innescata da una risposta immunitaria?
Non parlerei di risposta immunitaria classica, ma di un innesco di processi infiammatori nelle cellule del cervello che vengono stimolate in maniera patologica, da un evento dannoso per il tessuto (infezione del sistema nervoso, ischemia cerebrale, trauma cranico) o da una prima crisi.
Poi cosa succede?
La produzione di sostanze con proprietà pro-infiammatorie da parte delle cellule cerebrali (cellule della glia e neuroni), innesca a sua volta delle rapide modificazioni delle cellule nervose rendendole più suscettibili alle crisi epilettiche. I meccanismi coinvolti sono per molti aspetti diversi da quelli fino ad ora descritti per i processi infiammatori nell'organismo.
Grazie a questi risultati potremo curare meglio i pazienti colpiti dalla malattia?
È lo scopo e la speranza finale delle nostre ricerche: individuare trattamenti più efficaci con minori effetti collaterali.
Negli ultimi tempi si è anche iniziato a parlare di animali domestici in grado di prevenire le crisi epilettiche. Cosa c'è di vero nella pet therapy?
Non ci sono basi scientifiche che supportino quello che lei dice… L'unica cosa che possiamo affermare è che lo stress è uno dei fattori che può contribuire allo sviluppo di crisi epilettiche e che, quindi, un ambiente rilassante - dato per esempio dalla compagnia di un animale domestico - può contribuire a far stare meglio.
È vero che esistono vari tipi di epilessia?
Sì, non esiste un solo di tipo di epilessia, ma un insieme di diversi tipi di malattia, che si differenziano per molti fattori, quali le cause, le caratteristiche cliniche e la risposta ai farmaci.
Quanti sono gli italiani colpiti dalla malattia?
Circa 500mila. L'incidenza dell'epilessia riguarda, dunque, l'1% della popolazione.
È ancora da considerarsi una patologia fortemente debilitante?
Dipende dal tipo di epilessia e dall'efficacia dei farmaci.
Un giovanissimo a cui viene diagnosticata una forma epilettica può condurre una vita normale?
Certo che sì, però è necessario individuare la cura giusta e verificare che i farmaci facciano effetto.
Cosa si fa per quel 20-30% che non risponde alle terapie?
Il 10% circa può essere sottoposto a chirurgia per la rimozione del tessuto epilettico, negli altri casi si possono tentare terapie alternative sperimentali. Alcune, per esempio, si basano su stimolazioni specifiche del cervello o del nervo vago, altre si concentrano invece su diete particolari come quella ketogenica.

"I miei anni Quaranta hanno una data spartiacque, il 25 aprile 1945"

Alessandro Barbetta è difensore civico della città di Milano dall'8 febbraio 2004. Ci può fare un breve resoconto di questi cinque anni di attività?
All'inizio mi sono dedicato alla messa a punto della struttura (sistema informatico, prassi operative), riferendomi ai modelli dei paesi europei dove l’esperienza dell’ombudsman è più consolidata che in Italia. Poi, con l'apertura al pubblico, mi sono concentrato sul progressivo crescere delle richieste di aiuto rivolte al difensore civico, sull'interazione con il mondo associativo, su alcuni filoni di azione che, al di là dei singoli interventi richiesti dai cittadini, hanno qualificato la difesa civica milanese. Mi riferisco, in quest'ultimo caso, per esempio, alle azioni a favore della tutela dei diritti delle persone con disabilità, alla collaborazione tra difensori civici metropolitani, all’apertura di rapporti internazionali. Col nostro lavoro abbiamo, quindi, avuto modo di far apprezzare Milano sul piano europeo anche per la difesa civica.
Prima di questa esperienza ha lavorato per la Regione dal 1995 al 2004. Che differenze ci sono fra il difensore civico regionale e quello comunale?
La differenza sostanziale deriva dalla diversa natura istituzionale dei due enti. La Regione ha un ruolo legislativo e programmatorio. Il Comune è il fronte più esteso e intenso di impatto diretto tra apparato pubblico e cittadini. È dunque è sul fronte comunale che si concentrano i maggiori compiti di cura, sviluppo e soddisfazione dei diritti e degli interessi della comunità territoriale. Al difensore civico cittadino, peraltro, si possono rivolgere anche i circa ottocentomila abitanti che, pur non residenti, vivono in città per motivi di studio, svago, lavoro.
Dal maggio 2006 a oggi il difensore civico si è occupato di 12mila casi, un numero notevole per una sola persona. Quali altre figure professionali aiutano il difensore civico nel suo lavoro?
Il difensore civico è una persona, titolare della carica per elezione del Consiglio comunale, ma è anche una squadra che opera sia nella sede centrale che nelle nove zone del decentramento cittadino. Otto sono le persone qualificate sotto il profilo giuridico che si dedicano all’analisi dei casi sottoposti dai cittadini; tre sono gli addetti al front-office; le relazioni istituzionali e la comunicazione sono, invece, curate da due unità specifiche; altre tre unità si dedicano alla gestione delle risorse (personale, bilancio, procedure informatiche, documentazione, archivio e protocollo); quattro persone, infine, assicurano l’attività di segreteria.
Nel 60% dei casi le persone che si rivolgono al difensore civico ottengono dei benefici. E gli altri?
Al 63% di esiti utili per il cittadino, si devono aggiungere il 16% di richieste infondate; il 12,5% di richieste relative a informazioni o orientamento verso altre strutture; l’11,5% dei casi in cui il richiedente non dà seguito all’istanza presentata; il 7% dei casi, dove l’ufficio amministrativo al quale il difensore civico aveva indirizzato l’intervento, non ha aderito alla soluzione proposta dall'organo comunale.
Come si deve comportare il difensore civico per assolvere al meglio suo lavoro?
Il difensore civico deve operare con competenza, capacità di dialogo, spirito di collaborazione avendo sempre presente due obiettivi: tutelare i cittadini nei loro diritti e promuovere un’azione amministrativa trasparente e di qualità. Non va poi dimenticato che la segnalazione del cittadino è una risorsa che, mediante l’azione del difensore civico, si può trasformare in utilità per una pluralità di persone che si trovano nella medesima situazione. Il difensore civico, in ogni caso, non ha potere vincolante.
Cioè?
Significa che non può sostituirsi alle decisioni dei dirigenti e degli organi del Comune. L’efficacia della sua azione si basa quindi sulla virtuosità del circuito di rapporti tra cittadino – difensore civico – amministrazione. Il successo della difesa civica si realizza quando i tre elementi del circuito fanno bene la loro parte.
In molti, però, si rivolgono al difensore civico senza sapere che numerose controversie non sono di sua competenza. Può brevemente far sapere ai lettori di Milanoweb quando non è il caso di rivolgersi al difensore civico?
I cittadini devono sapere che prima di rivolgersi al difensore civico sono tenuti a contattare la struttura che gestisce la questione di loro interesse, e che comunque il difensore civico comunale non rappresenta il cittadino in giudizio. In particolare il difensore civico non annulla provvedimenti amministrativi; non sospende i termini dei ricorsi; non si occupa di questioni inerenti le pensioni, l’istruzione, la sanità, la prefettura, la questura; non regola controversie tra privati (ad es. conflitti condominiali o commerciali); non si esprime in merito alle scelte politiche dell’amministrazione.
Ammesso che un cittadino abbia ragione, quali sono le prime mosse del difensore civico?
Il difensore civico, dopo aver esaminato il caso e valutata la documentazione esibita dal cittadino, acquisisce informazioni dall’ufficio competente mediante richieste scritte o incontri diretti. Accertato il fondamento della lamentela propone una soluzione che, in piena legittimità, possa soddisfare le esigenze espresse dal cittadino.
In quanto tempo si giunge a una soluzione?
I tempi di soluzione possono essere molto diversi in ragione della natura del problema. Un conto è verificare un punteggio nella graduatoria per l’assegnazione di una casa popolare, un altro è intervenire su un caso di inquinamento acustico che implica anche sopralluoghi tecnici da parte dell’Agenzia Regionale per l’Ambiente.
Ci sono delle novità che le andrebbe di segnalare a Milanoweb?
In questi giorni si sta approvando in Parlamento la Legge Finanziaria per il 2010. In un contesto di tagli ai cosiddetti costi della politica, si va purtroppo alla potatura della figura del difensore civico comunale. Un colpo di spugna che toglierebbe ai cittadini di avvalersi di un meccanismo di tutela competente, indipendente, a portata di mano in caso di controversie col proprio comune. Un organo, che in Europa è considerato un indicatore di modernità e democrazia del sistema pubblico, cadrebbe come il più inutile dei parassiti. E ciò avverrebbe senza alcun dibattito ufficiale.
Lei nasce nel 1938 a Milano, dunque pochi come lei possono dirsi milanesi doc. Alla luce di ciò saremmo lieti di sapere qualcosa della città di Milano negli anni Quaranta. Cosa rimpiange di quei tempi e cosa invece trova che sia migliorato?
I miei anni Quaranta hanno una data spartiacque, il 25 aprile 1945. Prima sono stati anni segnati dalla corsa verso il rifugio antiaereo in piena notte; dalla valigetta che il papà portava sempre con sé per tornare a casa, riempita una volta di castagne e un’altra volta di patate; dall’arrivo in bicicletta dalla campagna dello zio Domenico con due file di salciccie arrotolate sotto la camicia; dal nostro sfollamento per tutto nel 1943 (fino a Natale) in un paesino sul lago di Como per sfuggire ai bombardamenti; dalla tragedia dei duecento scolari di Gorla uccisi con le loro maestre dalle bombe lanciate dagli aerei alleati. Dopo il 25 aprile, invece, con l'arrivo dei partigiani dal pavese, tutto cambia. Non si sentono più le sirene d’allarme; possiamo concederci inifinite partite di pallone in mezzo alle strade e lunghi pomeriggi di ping pong all’oratorio; nei fossi dei prati della periferia milanese le acque sono limpide e i pesciolini a portata di retino…