mercoledì 8 dicembre 2010

"Amo sostenere le idee che mi appartengono, indipendentemente da chi le propone"

Walter Di Gemma (Milano, 1968) è uno degli esponenti più importanti della nuova realtà culturale e musicale meneghina. Nella sua carriera ha fatto un po’ di tutto, passando da cabaret, canzone, teatro, giornalismo televisivo. Ha mosso i primi passi con il Gufo Roberto Brivio nel 1986 e oggi gira la città e la regione con spettacoli da lui scritti e diretti. Il suo primo disco risale al 1990 e si intitola "Duemilanote". Nel 1992 vince il Premio Giovanni D'Anzi, dedicato alla canzone d'autore milanese e partecipa a numerosi programmi televisivi. Fra un'esperienza e l'altra ha modo di frequentare Giorgio Gaber, Claudio Bisio, Lino Patruno, Gianni Magni, e molti altri giganti dello spettacolo. Ha inoltre partecipato come attore nel film "Una fredda mattina di maggio", diretto da Vittorio Sindoni e ispirato al delitto di Walter Tobagi.
Ciao Walter, contenti di poterti finalmente incontrare, vorremmo partire dal tuo ultimo spettacolo "Dove sono finiti i milanesi". Quale il succo dello show?
Posso raccontare solo la buccia, che è fatta di domande, quali: "I milanesi si saranno nascosti? Saranno scappati all'estero? Sono forse chiusi in casa ad aspettare qualche rivoluzione?". Questo è in sostanza il succo dello spettacolo che spero non sia alla frutta!
Dunque i milanesi di una volta non ci sono più?
Ci sono, ma non è un'ovvietà dire che sono rimasti in pochi, anche per un fatto generazionale. Forse dovremmo recuperare i valori di una volta, che non riguardano solo i milanesi, ma le persone in generale.
Cosa ne pensi dei disordini che spesso insorgono in seguito alla difficile convivenza fra etnie diverse? Vedi i numerosi incidenti verificatesi in via Padova…
Penso che ogni tolleranza e ogni convivenza sarebbero possibili se ci fossero comprensione e rispetto dell'altro. Ingredienti questi in via di estinzione, purtroppo.
Un tempo c'erano personaggi "alla milanese" come D'Anzi, Svampa, Magni, lo stesso Gaber. Perché oggi la canzone milanese fa così fatica a emergere?
La responsabilità credo che sia proprio dei milanesi che non hanno davvero a cuore la loro lingua, lo dimostrano con la poca partecipazione alle iniziative che la vorrebbero più protagonista. Esistono operazioni culturali legate alla diffusione del milanese attraverso la musica e il teatro, ma la nostra lingua è in realtà poco vissuta in famiglia e di conseguenza poco trasmissibile ai giovani come bagaglio culturale come lo era un tempo, ecco perché la sua diffusione è diventata difficile. Certo è che se la televisione riproponesse il milanese o usasse alcune parole di questa lingua anche solo come fenomeno di moda, quasi certamente salirebbe anche l'interesse da parte dei giovani.
Eppure ci sono situazioni in cui il dialetto riesce ad avere la meglio sull'opinione pubblica. Lo dimostra il successo di Davide Van De Sfroos…
Davide, con il suo successo, rappresenta un tassello di pensiero molto importante che potrebbe rivoluzionare e sdoganare finalmente il dialetto dalle etichette di sottocultura in cui lo avevano relegato, ciò però credo che non sia sufficiente. Oltre alla musica e alle canzoni, bisognerebbe assolutamente ritrovare gli altri tasselli necessari a ricomporre l'intero quadro, per ridare ai dialetti un volto degno anche nel cabaret, nel teatro e nella letteratura.
Alcuni - forse con un po’ di puzza sotto il naso - accusano le reti televisive locali e le strutture organizzative milanesi di non essere in grado di allestire spettacoli degni di nota. Riferendosi per esempio a realtà come Festa in Piazza o il Premio D'Anzi, c'è chi li definisce prodotti troppo "kitsch" o addirittura "trash" per poter convincere le giovani generazioni. Tu cosa ne pensi?
Io credo che non tutte le puzze sotto il naso abbiano torto, nel senso che se vogliamo recuperare lo spirito tradizionale folkloristico, tutto è positivo, ma bisogna assolutamente andare oltre, non eliminando queste trasmissioni, ma aggiungendone altre. I giovani, giustamente, non possono identificarsi in quelle realtà, proprio perché non le hanno mai vissute. Ritengo quindi necessario rischiare la proposta di trasmissioni legate al nostro tempo, considerando anche il pensiero e il modo di vivere dei giovani d'oggi, in modo tale che possano, anche con i dialetti, identificarsi in qualcosa che tenda a considerarli e a stimolarli.
Adriano Celentano è di origini pugliesi. Enzo Jannacci è di origini pugliesi. Teo Teocoli è di origini pugliesi. Roberto Vecchioni è di origine napoletana. Perfino D'Anzi e Svampa sono milanesi di adozione. Non trovi curioso che la storia musicale tradizionale milanese l'abbiano, in sostanza,"inventata" i meridionali?
Non è strano. Anch'io sono di origini pugliesi.
(Purtroppo) parlando di canzoni "alla milanese" subentra anche l'aspetto politico. Noto per esempio che nei circoli Arci - dove di solito si tende a valorizzare le idee locali, anche in funzione della filosofia antiglobale - paradossalmente non viene dato alcuno spazio alla realtà musicale della città. Magari lo si dà alla "tradizione" celtica, malesiana, kenyota, ma non a quella milanese. Il timore è, dunque, che la canzone meneghina, in certi contesti, venga tenuta a debita distanza perché giudicata in linea con la politica del centro-destra. Ti sembra una tesi verosimile?
Un tempo il dialetto era sostenuto e pubblicizzato dalla sinistra come vero e proprio progetto culturale, oggi il discorso è stato abbandonato e preso da altri movimenti. Il perché sia successo non lo so, il problema è che si tende ad escludere le cose non per convinzione ma per convenzione. Bisognerebbe avere l'onestà intellettuale di riconoscere le cose buone indipendentemente da chi le sostiene.
Rimanendo in tema politico, seguendo le tue "incursioni" su Facebook, si vede che da parte tua c'è una tendenza a favorire le proposte del centro-destra…
Amo sostenere le idee che mi appartengono, indipendentemente da chi le propone.
Come giudichi l'operato della Moratti?
Come tutti ha fatto cose buone e cose meno buone.
Ci parli di qualche canzone contenuta nel tuo nuovo singolo “Zafràn”?
Il nuovo singolo è composto da sei brani in cui ironizzo sui nostri comportamenti globalizzati (anche quando pensiamo che non siano tali) e sui nuovi social network che hanno cambiato la nostra vita, forse perché sostituiscono metodi di approccio e di comunicazione che, normalmente, faremmo fatica ad usare.
Per Nanni Svampa, George Brassens è "il tutto". E per Di Gemma?
Ogni artista trova il suo “tutto” in qualcun altro, succede sempre. Brassens è senza dubbio un grande genio della canzone d'autore.
Per Di Gemma c'è anche Jacques Brel…
Sì, un altro genio che ho trovato più profondo e difficile di Brassens, ecco perché meno conosciuto e meno noto del suo grande “collega” al grande pubblico di oggi.
Sul tuo Myspace ti vediamo in compagnia di molte celebrità fra cui Giorgio Gaber e Claudio Bisio. Come li hai conosciuti e in che modo hanno influenzato la tua arte?
Bisio l'ho conosciuto durante alcune serate fatte insieme a teatro. Ricordo ancora un suo spettacolo allo Zelig intitolato “Guglielma”. Gaber l'ho conosciuto che ero molto giovane e fortunatamente mi ha aperto gli occhi su molte cose; mi sarebbe piaciuto sapere come avrebbe fotografato questo momento difficile. Mi manca molto, è stato per me determinante sotto ogni aspetto, personale e artistico.
Nella tua carriera hai fatto un po’ di tutto. Ma ti senti di più attore, cantante, cantastorie, cabarettista, o scrittore?
Non ne ho idea. Cantante non lo sono mai stato e l'ho sempre detto. Sono una persona che cerca di intonare alla meglio quello che scrive, senza essere uno scrittore vero e proprio. Le strade per arrivare ad avere un'etichetta definitiva non sono nelle mie aspirazioni, anche perché sono arrivato a capire che gli errori e le imperfezioni appartengono sia ai noti che ai meno noti, al di là dei loro titoli. Diciamo che quando canto e quando scrivo mi sento bene.
Come hai iniziato la tua attività artistica?
Devo purtroppo rispondere che non sono nato per caso, nel senso che il mio sogno era proprio il palcoscenico. Quando grazie a Roberto Brivio ho potuto calcarne uno, non ho più smesso.
Che importanza hanno avuto per te i Gufi?
Fondamentale per capire l'essenza del cabaret e il significato di satira. Oggi bisognerebbe ascoltarli attentamente per capire la differenza con quello che vediamo oggi, sia dal vivo che in TV.
Hai ancora contatti con Svampa, Brivio e Patruno?
Capita ogni tanto di incontrarli o di sentirli telefonicamente. Ognuno ha preso strade differenti e talvolta poco incrociabili.
Sai che anch'io qualche volta scrivo canzoni "alla milanese". Quando potrò farti ascoltare qualcosa di nuovo?
Quando vuoi.
Infine ci dici gli angoli di Milano che ami di più?
Direi quasi tutti, sennò che amore è? Il fascino più grande me lo emanano le Colonne di San Lorenzo, è il luogo di Milano che sento più mio, più magico.