giovedì 27 agosto 2009

A due passi dal "Duomo di Notte"

Due anni dopo “In viaggio” rieccoti con “Vai protetto”, il risultato di 30 anni di successi. Il nuovo disco comprende alcune delle tue più belle canzoni, ma anche ‘chiccherie’ del tutto inaspettate come la versione ironica di “A voi romani”. Qual è la molla che ti porta ancora a sperimentare e rinnovarti?
La grande passione che, nonostante gli anni, continuo a nutrire per la musica. Da ciò scaturisce il desiderio di rinnovarmi di continuo, individuando soluzioni nuove nei testi e nelle musiche e collaborando con musicisti di ogni provenienza. Per quanto riguarda la versione ironica di “A voi romani” è per ribadire il fraintendimento patito dalla mia prima versione, considerata una condanna nei confronti dei romani. In realtà nelle mie intenzioni c’era solo la volontà di accusare una certa classe politica. A riprova di ciò in questa mia ultima versione sono affiancato da Franco Califano, mitico rappresentante (benché nato a Tripoli) della città eterna.
Relativamente all’industria discografica hai recentemente confidato a un tabloid che “siamo in un territorio anestetizzato dalla velocità e così oggi non si creano più le carriere, non c’è tempo”. C’è dunque il rischio che il mercato discografico di domani possa essere rappresentato solo dalla cosiddetta musica ‘usa e getta’?
Certamente, oggi, è molto più difficile dar vita a progetti a lungo termine, coltivare negli anni un artista prima di farlo esplodere a livello nazionale, ma questo non significa che la musica ‘usa e getta’ avrà il sopravvento. Probabilmente, nei prossimi anni, assisteremo a una grossa rivoluzione in ambito discografico che, in qualche modo, consentirà ancora ad artisti di talento di emergere.
Un tempo, peraltro, c’era meno concorrenza...
In effetti il mercato attuale è stracolmo di proposte discografiche che però, nella maggior parte dei casi, rimangono fenomeni di nicchia, ‘di quartiere’. Diciamo che oggi, rispetto a quando ho iniziato io sul finire dei Settanta, occorre darsi da fare tre volte tanto per ottenere magari metà di quello che si poteva ottenere un tempo.
Al di là di questo periodo di transizione discografico, c’è qualche artista italiano che continua a emozionarti?
Vasco Rossi, con cui, peraltro, ho avuto modo di esibirmi a inizio carriera. Mi riferisco a un concerto che mise in piedi Bibi Ballandi (organizzatore di grandi eventi televisivi, l’uomo che riportò Adriano Cementano in televisione, che ha rilanciato alla grande Gianni Morandi, che ha inventato la nuova star del sabato sera, Rosario Fiorello, ndr), invitando a alternarsi sul palco sette cantautori fra cui il sottoscritto e, appunto, l’autore di "Anima fragile".
Che anno era?
Il 1979.
Poi?
Direi Zucchero, di cui mi piace la grande capacità di rinnovarsi, e Niccolò Fabi, figlio del mio storico produttore (Claudio Fabi), fra le migliori proposte della cosiddetta ‘generazione di mezzo’.
Con la canzone “Cina” ritroviamo l’oriente nel messaggio che accompagna la presentazione del tuo nuovo disco: “L’arte è come un fiore che nasce sul bordo della strada senza chiedere niente a nessuno, ma sempre pronto a farsi cogliere da chi lo sa riconoscere”. Sono le parole di Osho, maestro spirituale indiano, padre del controverso movimento ‘Osho-Rajneesh’. In che modo culture tanto lontane influenzano il tuo pensiero?
In realtà non le vedo come culture così lontane. In fin dei conti il confronto con il cosiddetto oriente, può anche essere inteso semplicemente come un modo particolare di guardare al di là dei confini del proprio orticello. Osho, peraltro, ci ricorda che tutti i grandi padri spirituali - Gesù, Budda, Maometto - dicevano la stessa cosa, a riprova di un’origine comune di tutte le culture, poi strumentalizzate da politici e religiosi.
La canzone “Il Duomo di notte” è stata inclusa nella classifica delle 100 canzoni fondamentali nella storia del pop-rock. Cosa si prova a vedere il proprio nome di fianco a mostri sacri come John Lennon (presente con “Imagine”) e Bob Dylan (con “Like a Rolling Stones”)?
È una grandissima soddisfazione, considerando anche il fatto che per i primi tre anni della mia carriera nessuno era interessato a canzoni come questa. E invece, proprio “Il Duomo di notte” è arrivata a essere inclusa fra le 100 migliori canzoni della storia del pop-rock. È un aneddoto che mi piace raccontare a chi inizia oggi la carriera di musicista: dietro a un insuccesso, infatti, può sempre celarsi un inaspettato traguardo.
Sempre a proposito di Dylan, nel 1992 apri un suo concerto a Genova in occasione del 500esimo anniversario della scoperta dell’America... Sei riuscito a scambiare due chiacchiere con l’autore di “Blowin’ in the wind”?
Scambiai con Dylan qualche parola nel backstage e fui impressionato dalla sua cordialità. Poi negli Stati Uniti ho più volte avuto modo di chiacchierare con suo figlio Jesse, oggi regista affermato, e la mamma di Suzie Rotolo, storica fidanzata di Bob ai tempi del Greenwich Village.
‘Milano da bere’ è un’espressione giornalistica che definisce alcuni ambienti meneghini nel corso degli anni ’80, periodo in cui il capoluogo lombardo è un centro di potere presieduto dai socialisti e contraddistinto da un benessere diffuso, dal fashion e dal rampantismo. Tu, questi anni, li hai vissuti in prima persona, al fianco di altri personaggi celebri della canzone italiana come Alberto Camerini, Eugenio Finardi...
Era una Milano piena di energia, frizzante, dove si respirava un’atmosfera internazionale, sembrava di essere a Londra o a New York. Anche artisticamente era molto viva, le mostre d’arte moderna erano il pretesto per incontrarsi e ‘fare cultura’. Poi però le cose cominciarono a cambiare fino al patatrac finale di Tangentopoli.
Ricordi qualche locale tipico di quegli anni?
Innanzitutto il Plastic, frequentato da ogni genere di persona e con un atteggiamento molto – diremmo oggi – ‘di tendenza’.
Se non sbaglio hai perfino dedicato una canzone a questo storico locale...
“Plastic Messico”, nel biennio ’83-’84, praticamente il primo rap italiano.
Alberto Fortis cantautore, ma anche poeta. Nel 1986 debutti con la raccolta di poesie “Tributo Giapponese” (ancora l’oriente), nel 1994 con “Dentro il giardino”. Oggi sei direttore artistico del “Progetto Quasimodo”, il cui scopo è quello di far sposare le liriche del Nobel siciliano alle musiche di Fortis. Qual è la differenza fra canzone e poesia?
Può non esserci differenza fra canzone e poesia, infatti molti cantautori sono anche poeti. Cito un esempio su tutti: Jacques Brel.
E “Via del Campo” di De Andrè, da te interpretata?
Questa, probabilmente, è la migliore poesia di De Andrè.
Claudio Fabi il produttore, Niccolò Fabi il cantautore. Qualche altra collaborazione in vista?
Nulla di imminente, ma non escludo che nel mio prossimo album possa invitare Niccolò a cantare un pezzo.
È vero che ti sei esibito al Cavern Club, storico locale in cui debuttarono i Beatles?
È successo ad agosto di quest’anno grazie all’amicizia che mi lega a Rolando Giambelli, presidente di “The Beatle People Association of Italy”. Una serata emozionante in cui abbiamo proposto molte cover di Lennon e McCartney.
Hai collaborato anche con George Martin, mitico produttore del quartetto di Liverpool?
In “Fragole infinite”, mio quarto album. Registravamo a Londra, di fianco allo studio di Paul McCartney.
Che tipo era Andrea Pazienza, geniale disegnatore dei fumetti presenti nel video “Milano e Vincenzo”?
L’ho conosciuto pochissimo. Ci siamo sentiti al telefono, dopo aver saputo che gli piaceva la mia canzone. Credo fosse il primo videoclip illustrato da Andrea. Quest’anno in compenso – in occasione del decimo anniversario della sua scomparsa – ho preso parte a un concerto organizzato nel suo paese natio – San Menaio, in Puglia – dove ho conosciuto l’intera famiglia del fumettista.
Un video nuovo in programma?
Sarà pronto per il 2009.
Hai ascoltato “Circo Immaginario”, disco del 2006 di Rossana Casale, tua storica partner?
Sì e mi è piaciuto. Rispetto ai dischi precedenti c’è meno jazz e più pop, è la Rossana che prediligo. Personalmente la ritengo la Stevie Nicks d’Italia.
"Milano e Vincenzo" è una delle tue canzoni di maggiore successo... Il Vincenzo che vorresti ‘ammazzare’ è il famoso produttore Micocci, padrino anche di altri artisti come De Gregori, Venditti, Rino Gaetano. Alla fine vi siete riconciliati?
Certamente. Ho perfino collaborato con suo figlio, in un recente tour. In fondo Vincenzo è stato un grandissimo talent scout...
È il periodo romano di Fortis e stava per esplodere l’ermetismo di De Gregori...
Ricordo un giorno che stavamo aspettando Micocci... Mi propose di ascoltare dei suoi provini che apprezzai molto. Poi venni a scoprire che sarebbero serviti per dare alle stampe “Rimmel”.
Poi c’è l’intramontabile “Settembre”...
È la canzone che mi ha cambiato la vita. Ci sono il ricordo delle vendemmie che vivevo nella casa dei nonni vicino a Gattinara, in Piemonte, e l’immagine più o meno definita di un amore.
Nel 2006 arrivi quarto a ‘Music Farm’. Come hai vissuto l’esperienza con Simona Ventura, sempre più proiettata nella dimensione di ‘talent scout’?
È stato un incontro importante, maturato grazie al lavoro di Fio Zanotti, mio ex produttore. Simona Ventura è stata molto brava a valorizzare le potenzialità artistiche dei partecipanti, a scapito dei battibecchi creati apposta per fare audience.
Grazie a una lunga permanenza negli Stati Uniti sei riuscito a coinvolgere in alcuni tuoi progetti musicisti di assoluto valore, comprimari di icone leggendarie come Al Jarreau o i Supertramp. Chi è il musicista che stimi di più fra i tanti che ti hanno accompagnato nella tua lunga carriera?
Sono davvero tanti... Potrei citare Alex Acuna, batterista, collaboratore dei Weather Report, e Abraham Laboriel, bassista, più volte sul palco con Steve Wonder.
Benché tu sia nato a Domodossola, con tutti gli anni che hai trascorso a Milano, ti puoi ormai ritenere un autentico ‘bauscia’, peraltro abiti a due passi dal Castello Sforzesco... Come si dice in milanese: “Usciamo a mangiare la trippa?”.
Ah, non lo so. La Milano a cui sono interessato – benché conscio dell’importanza delle tradizioni e dei costumi locali – non è quella di una volta, ma quella che guarda al futuro, all’Europa.
Probabilmente mi sentirei più a mio agio sentendomi domandare in milanese “Usciamo a mangiare il sushi?”.

(L’intervista è avvenuta in via Rovello 19, zona Cairoli, Milano).

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