giovedì 29 luglio 2010

"Sono davvero pochi i colleghi che ancora vanno in giro per il mondo per poi raccontare quello che hanno visto coi loro occhi"

Incontriamo Viviano Domenici all'indomani della pubblicazione del suo ultimo lavoro "Altri naufragi", pubblicato da De Agostini. Come è nata l'idea di questo nuovo libro?
Dopo aver accumulato per anni spunti raccolti durante i tanti viaggi che ho compiuto come inviato del Corriere della Sera, un giorno, il direttore di una rivista marittima, mi propone di raccontare mensilmente una storia avente come protagonista il mare. In breve mi ritrovo fra le mani tanto materiale da poter pensare alla realizzazione di un libro. Lo propongo alla De Agostini che accetta di buon grado. "Altri naufragi" l'abbiamo pensato come una specie di vecchio diario di bordo, contraddistinto anche da foto d’epoca e disegni. Non è un caso che sia stampato su carta simile a quella da pacchi.
Protagoniste assolute le isole. Cos'hanno di diverso dalla terraferma?
Le isole sono posti speciali dove fenomeni e comportamenti vengono spesso enfatizzati. Basti pensare agli elefanti nani della Sicilia o ai giganteschi uccelli del Madagascar. Inoltre, sulle isole approdano "relitti" di ogni tipo, anche umani, che subiscono anche loro fenomeni di estremizzazione, nei comportamenti, naturalmente. È per questo che le isole mi affascinano.
Qual è la storia che ti ha entusiasmato di più?
Forse quella riguardante una vecchia polinesiana di quasi cento anni. Abitava nell'Isola di Pasqua ed era discendente di un italiano naufragato molti anni prima. La storia mi ha affascinato così tanto che ho voluto cercare di ricostruirla nei dettagli. Una volta in Italia ho trovato dei documenti che mi hanno permesso, in effetti, di verificare che negli anni Trenta naufragò sull'isola un marinaio viareggino, che decise di vivere laggiù.
Per rimanere in zona "franca", cosa possiamo dire della misteriosa isola Ferdinandea?
Parliamo di un'isola che nell'Ottocento emerse per qualche mese nel tratto di mare fra l'Italia e l’Africa, poi si inabissò. Fece gola a molti perché sorgeva in un punto assai strategico, da dove era possibile controllare l'intero Mediterraneo. La sua storia geologica è peculiare. Nasce da un vulcano sottomarino e ha i suoi “alti e bassi”: in questo momento si trova a circa dieci metri di profondità, benché qualche anno fa sembrò sul punto di riaffiorare.
È l'unico caso di un'isola così particolare, che tu sappia?
Credo che ce ne sia una simile anche lungo le coste della Colombia e altre nell’Oceano Pacifico.
In tutto vengono citate 32 isole. Quali quelle in cui sei anche stato fisicamente?
I due terzi delle località che cito le ho visitate di persona. Le altre le ho raccontate basandomi su fonti indirette.
Quella che ti è rimasta di più nel cuore?
Forse l'isola dove è stato seppellito Gauguin, in Polinesia. Un'isola meravigliosa. Trovai il luogo di sepoltura del grande pittore in mezzo a belle piante tropicali. A qualche metro c'era anche quella dello chansonnier franco-belga Jacques Brel, che racconta una storia d’amore struggente.
Il libro è anche il frutto del lungo lavoro compiuto al Corriere delle Sera. Viviano Domenici è infatti colui che per primo ha dato vita alla pagina scientifica del quotidiano di via Solferino. Come è nata questa avventura?
Erano altri tempi. Nel 1961 risposi a un'inserzione per lavorare come grafico al Corsera. Durante una sorta di esame cui fui sottoposto, mi permisi di cambiare il titolo di un servizio. Mi convocò un personaggio austero, ma dolce, chiedendomi perché l'avessi fatto: io glielo spiegai non senza timore di aver fatto una stupidata, dicendo semplicemente che il titolo che mi era stato consegnato non rispondeva adeguatamente al contenuto del testo. Ed era proprio così. Quella persona era il grande Dino Buzzati. E fui assunto.
Altri incontri celebri nei corridoi del Corriere?
Enzo Biagi, Indro Montanelli, Claudio Magris, Egisto Corradi, Ettore Mo…
Il giornalismo è davvero morto?
Di sicuro è cambiato molto. Un tempo si faceva un giornalismo "fisico", di azione. Si partiva veramente per una località, per capire cosa succedeva nel mondo. Oggi con la scusa di internet il lavoro si svolge soprattutto alla scrivania. Sono davvero pochi i colleghi che ancora vanno in giro per il mondo per poi raccontare quello che hanno visto coi loro occhi.
Ora che sei in pensione mantieni ancora i contatti con via Solferino?
Collaboro saltuariamente e questo mi ha permesso di scrivere due libri in poco più di un anno. Il primo è “Altri naufragi”, di cui stiamo parlando; il secondo è “Notte di stelle” che ho scritto con Margherita Hack - un capitolo lei e uno io - e che uscirà a metà ottobre. Recentemente sono stato al Corriere per la presentazione del libro e per consegnare le puntate di una rubrica, relativa alle isole, che sta uscendo su pagine dedicate all’estate. Ritrovarmi in redazione e sentire ancora l’affetto dei colleghi mi ha fatto piacere.
Ti senti più giornalista o narratore?
Mi sento un giornalista, anche quando mi capita di narrare. Nelle mie storie c'è sempre un atteggiamento giornalistico, puntando sui dettagli, sui particolari infinitesimali, perché tutto sia più vicino possibile alla realtà, magari raccontata con sensibilità.
Quanti articoli hai scritto nella tua carriera?
Migliaia.
Esiste un modo per poterli leggere?
In archivio al Corriere c’è quasi tutto. Dal 1992 in poi tutti gli articoli pubblicati sono sul computer e chiunque, andando su Corriere.it, li può leggere. Personalmente ho un piccolo archivio cartaceo in cui ne ho raccolti circa l’80%. Il 20% l'ho perduto.
Qual è il futuro della divulgazione scientifica?
Non è bello. Una volta al Corriere facevamo otto pagine la settimana dedicate alla scienza. Oggi ne sono rimaste due, farcite di pubblicità. Un tempo gli articoli erano anche di 10mila battute, oggi non si va oltre le 4mila. Non mi meraviglierei troppo se fra un po’ i temi scientifici sparissero dai quotidiani.

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