sabato 27 novembre 2010

"Vorremmo che almeno la tv pubblica desse più spazio a tutti gli sport, non solo al basket, ma evidentemente l'Italia non è pronta"

Milanoweb incontra Dino Meneghin, figura storica del basket italiano, all'indomani della vittoria dell'Armani Jeans Milano su Lottomatica Roma. Meneghin (nato nel 1950 ad Alano di Piave) è attualmente presidente della Federazione Italiana Pallacanestro. Nella sua prestigiosa carriera ha giocato nella Pallacanestro Varese, nell'Olimpia Milano, e nella Pallacanestro Trieste. Ha partecipato a 13 finali di Coppa dei Campioni vincendone 7. A livello nazionale ha conquistato 12 scudetti e 6 coppe Italia.
L’Armani Jeans Milano consolida il primato in classifica dopo la sesta giornata del massimo campionato di basket, vincendo 76-70 contro Lottomatica Roma. Un commento alla partita?
È stata una partita molto tirata e avvincente. Le squadre hanno dato il meglio di sé, ma alla fine ha ottenuto, meritevolmente, il successo l'Armani Jeans Milano.
Hai assistito alla partita?
Certamente. L'Armani ha giocato forte e ha saputo anche sfruttare gli errori dell'avversario.
Anche questa una prerogativa di una grande squadra...
Senza dubbio. L'Armani ha meritato in tutti i sensi.
A inseguire i lombardi di Piero Bucchi c'è adesso solo la Montepaschi Siena, distaccata di due punti e vittoriosa sull’Angelico Biella 101-81...
Anche il Siena è un'ottima squadra.
Però…
Ho l'impressione che stia pagando il cambio di alcuni giocatori: ne sono arrivati di nuovi che probabilmente si devono ancora ambientare, devono ancora metabolizzare i meccanismi del team, la mentalità.
È un passaggio fisiologico ogni volta che si cambia squadra…
Naturalmente. Il Siena, comunque, rimane un gruppo sportivo di grande valore, e l'ha dimostrato contro il Barcellona in coppa.
Com'è andata?
Ha vinto. Non ha surclassato l'avversario ma ha messo in luce la potenza della squadra in difesa e in attacco.
Torniamo al match di Milano, qualcuno ha parlato della vendetta dell'ex Ibrahim Jaaber…
Mah. Io posso solo dire che questo giocatore mi piace moltissimo. Da buon professionista, probabilmente, tiene soprattutto a dimostrare che è stato un buon acquisto.
Nel futuro del basket italiano vede qualche figura promettente?
Ho gli occhi puntati su Niccolò Melli. Non sarà facile per lui guadagnarsi il posto, ma se continua ad allenarsi bene, ha tutte le carte in regola per diventare un grande campione.
Quanti anni ha?
20. È un giovanotto.
Quali sono le armi vincenti dell'Armani?
Buon allenatore, ottimo andamento del mercato acquisti estivo, e la voglia di emergere e portare a casa risultati dei suoi giocatori.
L'Armani vincerà il campionato?
Non sono il mago Zurlì.
Un pronostico, dai…
No, non sarebbe corretto verso le altre squadre.
In ogni caso il prossimo turno dell'Armani vede in cartellone un nome ostico: Montegranaro…
È una squadra forte, come ormai quasi tutte quelle che disputano gare a un certo livello.
Anche qui nessun pronostico?
Il risultato è apertissimo.
Parliamo un po’ della tua carriera… Sei dall'anno scorso Presidente della Federazione Italiana Pallacanestro. Come affronti questa carica?
Con un grande senso di responsabilità. Cerco di lavorare su tutti i fronti, creando i presupposti per un miglioramento complessivo di questo sport. Lavoro quindi sui giovani giocatori, ma anche sugli arbitri e gli allenatori. Sia in campo maschile che femminile.
Cosa ti spinge a dare il meglio di te?
Il fatto di avere avuto tantissimo da questo sport. La carica che copro mi consente di restituire il tanto che ho ricevuto.
Lavori ancora in tv?
Non più. Non ho tempo, non potrei farlo. Magari qualche comparsata. C'è chi sa assolvere molto meglio di me questo mestiere.
Tra i tuoi premi più prestigiosi c'è anche quello che ti ha permesso di entrare nella Basketball Hall of Fame…
Un'emozione senza eguali. Vedere la mia foto di fianco ai più grandi giganti del basket internazionale, è un'emozione che non ha prezzo…
Condivisa…
Con l'intero basket italiano, che mi ha dato la possibilità di esprimermi al meglio. In questo premio ci sono le squadre in cui ho giocato e tutti i miei compagni.
Com'è cambiato il basket dagli anni Ottanta a oggi?
È cambiato tutto.
Tutto?
A partire dai palazzetti dello sport. Sono cambiate le squadre, la preparazione tecnica, è cambiata la struttura fisica dei giocatori. Non ultimo, negli anni Settanta e Ottanta c'erano pochissimi stranieri. Oggi invece è vero il contrario.
E a rimetterci sono i giocatori italiani…
Che, in effetti, trovano meno spazio. Ma noi dobbiamo lavorare per mettere in luce i talenti.
Perché il basket non prende come in USA?
Perché non ci sono i presupposti. In USA esistono delle scuole di basket e non solo delle associazioni, dove la selezione è durissima, e dalle quali emergono campioni eccellenti. Inoltre in Italia tutto è fagocitato dal calcio.
C'è un po’ di rammarico nelle tue parole…
Beh, sì, il rammarico c'è eccome. Vorremmo che almeno la tv pubblica desse più spazio a tutti gli sport, non solo al basket, ma evidentemente l'Italia non è pronta.
Un vero peccato…
Tenuto anche conto del fatto che in Italia il basket è comunque molto apprezzato: ci sono 400mila tesserati e 4mila società.
La tua squadra del cuore?
Tutte quelle dove ho giocato: Varese, Milano, Trieste.
E di calcio?
Ti direi la Juventus. Quando giocavo nel Varese frequentavamo i calciatori della Juve.
In che modo?
Festeggiavamo vicendevolmente i trofei vinti. C'era molta complicità fra gli sportivi anche di discipline diverse.
Bello. Oggi, però, non funziona più così…
I tempi sono decisamente cambiati. Non esiste più spazio per l'improvvisazione e le estemporaneità.
Oltre al basket cosa c'è nella vita di Meneghin?
Mi limiterei a dirti la famiglia: mia moglie e mio figlio che gioca nel Varese. Quando finisco il lavoro sono così stanco che non ho molti altri hobby da coltivare. Anche se non mi dispiace qualche volta cenare con gli amici.

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