lunedì 1 novembre 2010

"I Rom ogni volta vengono considerati come 'arma' per ottenere più voti"


MW interview don Massimo Mapelli, della Casa della Carità, centro fondato nel 2004 dal cardinale Martini e oggi punto di riferimento per tutti gli emarginati sociali.
Buongiorno don Massimo, vorremmo affrontare con lei il tema caldo dei Rom. Proprio oggi abbiamo saputo che - nonostante gli accordi presi con l'amministrazione quest'estate - "i Rom non avranno le case popolari". Cosa ne pensa?
Il discorso rientra nel cosiddetto Piano Maroni, gestito dal Comune di Milano e dalla Provincia, con la nostra partecipazione attiva. Ai Rom designati - 11 famiglie - andavano assegnati gli alloggi Aler prestabiliti. Il progetto non è andato come previsto e vorremmo ora avere delle giustificazioni valide. Non si può risolvere le cose con dei semplici comunicati giornalistici.
È così che è accaduto?
Oggi i giornali hanno diffuso il succo della conferenza stampa tenuta dal Ministro Maroni. Noi, dunque, ci aspettiamo di vedere qualche documento nero su bianco che attesti la nuova presa di posizione di Palazzo Marino.
Stiamo, dunque, parlando dei famosi alloggi esclusi dalla disciplina Erp, così come da delibera della Regione Lombardia del 5 agosto…
Certamente. Sono case inutilizzate, inagibili e che necessitano di ristrutturazione. La legge prevede che il 5% del patrimonio di case pubbliche, venga escluso dalle graduatorie e destinato alle emergenze.
Pertanto non sono case popolari sottratte ai milanesi come molti si ostinano a pensare…
Assolutamente no. Sono appartamenti dati al terzo settore per gestire delle emergenze e delle fragilità sociali. E il campo di Triboniano, per la Casa della Carità, è un'emergenza, dato che deve chiudere tra 15 giorni.
Come spiegate questo cambiamento dell'ultima ora?
Probabilmente è per via della campagna elettorale ormai incombente. Quando c'è da andare al voto i programmi fatti assumono sfaccettature completamente diverse. E ad andarci di mezzo sono sempre i Rom.
Ora la palla passerà al prefetto…
Così sembra. Sarà lui a individuare una nuova sistemazione per queste persone.
È comunque un buon risultato…
Ma il problema Rom non riguarda esclusivamente la curia e le associazioni di volontariato. Concerne l'intera città, che deve mettersi in moto con tutti i suoi mezzi, prefettura compresa.
Perché è così difficile integrare i Rom?
Perché negli anni le campagne politiche hanno affrontato il tema Rom col piglio sbagliato. I Rom ogni volta vengono considerati come "arma" per ottenere più voti, e intanto la loro situazione rimane sempre la stessa. Ci vuole la serenità giusta per capire che anche i Rom possono essere parte integrante della nostra città, con le loro risorse fisiche e mentali.
C'è anche una buona fetta di opinione pubblica che insiste nel dire che i Rom vanno cacciati perché sono solo capaci di delinquere e rubare…
Come in ogni tipo di struttura sociale c'è chi vuole fare il furbo. Così accade anche nei Rom. Il problema è che nel loro caso ogni aspetto negativo viene enfatizzato, alimentando stereotipi che nel 2010 non dovrebbero più avere senso di esistere. E in ogni caso non si può stigmatizzare una persona solo perché ha compiuto un reato nel 1979.
Com'è il campo di via Triboniano?
Per tanti anni è stato un punto di aggregazione urbano dove confluivano kosovari, macedoni, romeni, ecc. Ci sono state fino a mille persone. Oggi le cose vanno un po’ meglio. Siamo a circa 600 persone distribuite in 102 famiglie. Rimane comunque un ghetto dove non si vive bene, non è certo la casa del Mulino Bianco.
Di cosa vivono i Rom?
Sono tante famiglie con usi e costumi diversi. Molti lavorano regolarmente, molti sono rimasti disoccupati in seguito alla crisi. Certo, c'è anche qui chi vive di espedienti illegali.
Cosa ne pensa della decisione di Sarkozy?
È una decisione che rischia di diventare una grossa propaganda politica e nient'altro. Non si tratta di chiudere gli occhi alla sicurezza, ma di investire adeguatamente le proprie energie per assicurare a tutti un futuro decente.
Anche con gli islamici il dialogo è spesso difficoltoso. D'accordo, quindi, con Tettamanzi quando dice che è necessario dar modo di edificare una nuova moschea?
Direi di sì. La gente, i musulmani, si troverebbero comunque per pregare, in strada, in un garage, in un cortile. Una città come Milano deve assicurare la possibilità di culto a ogni persona.
La Casa della Carità?
Nasce nel 2004 per volere di Carlo Maria Martini con due scopi: ospitare e accogliere. Il nostro impegno è quello di restituire una vita e una dignità a chi le ha perdute. Non siamo per l'assistenzialismo ma per la reintegrazione sociale. Negli anni abbiamo accolto persone da 95 nazionalità diverse.
Quante le persone coinvolte?
Sessanta operatori e settanta volontari.

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