giovedì 7 gennaio 2010

"Purtroppo i fondi disponibili per i nostri studi sono molto pochi"

Annamaria Vezzani è la prima ricercatrice italiana a vincere il premio internazionale dell'American Epilepsy Society, che ogni anno viene assegnato a uno scienziato che si è distinto nella ricerca contro l'epilessia. Come ci si sente a ricevere un premio così importante?
Sono molto contenta e onorata di questo riconoscimento. Il merito, però, non è solo mio, ma anche dei miei giovani colleghi di laboratorio e dei miei collaboratori internazionali. A tal proposito colgo l'occasione per ringraziarli tutti.
È stata dura arrivare fin qui…
Posso sicuramente dire che il nostro lavoro richiede grande impegno, passione e sacrifici, e spesso porta a fermarsi in laboratorio fino a tarda sera e a lavorare durante il weekend.
Quali sono i risultati che le hanno permesso di raggiungere questo traguardo?
Direi i nostri studi sullo sviluppo di nuove strategie terapeutiche per contrastare le crisi epilettiche. In particolare le ricerche svolte su modelli di epilessia in laboratorio, che hanno permesso di dimostrare il contributo dei processi infiammatori nel cervello nella comparsa delle crisi e la possibilità di ridurre gli eventi clou della malattia con farmaci specifici. Inoltre abbiamo sviluppato una terapia genica per il controllo delle crisi resistenti ai farmaci anticonvulsionanti. Quest'ultima si basa sull'introduzione nel cervello di un gene che produce una proteina con attività anticonvulsionante.
Cosa succede in questi casi?
Quest'applicazione permette la produzione di una sostanza protettiva che agisce sulle crisi riducendole significativamente. Essendo una tecnica invasiva, però, verrebbe indirizzata solo ai pazienti resistenti ai farmaci, come alternativa alla rimozione chirurgica del tessuto cerebrale epilettico.
E a livello pratico?
Siamo ancora indietro. Quelli menzionati sono, infatti, approcci terapeutici in fase di studio e non applicabili in questo momento.
La Vezzani è a capo del Laboratorio di neurologia sperimentale dell'Istituto Mario Negri di Milano. Come procede, in generale, la ricerca nel campo della lotta all'epilessia?
Con molta buona volontà da parte dei ricercatori e molto lavoro a tempo pieno, studio e diffusione delle nuove conoscenze nei convegni nazionali e internazionali. La sinergia con altri istituti è, dunque, fondamentale: permette, infatti, di confrontarsi sui risultati ottenuti e di migliorare le nostre conoscenze sulla malattia.
E per ciò che riguarda i fondi per la ricerca?
Purtroppo i fondi disponibili per i nostri studi sono molto pochi e questo fattore rallenta le nostre possibilità di progredire nelle conoscenze della patologia.
Nei suoi studi si parla spesso di una relazione fra processi infiammatori e crisi epilettiche. In che modo la 'scarica di elettricità' a livello cerebrale, tipica dell'epilessia, può essere innescata da una risposta immunitaria?
Non parlerei di risposta immunitaria classica, ma di un innesco di processi infiammatori nelle cellule del cervello che vengono stimolate in maniera patologica, da un evento dannoso per il tessuto (infezione del sistema nervoso, ischemia cerebrale, trauma cranico) o da una prima crisi.
Poi cosa succede?
La produzione di sostanze con proprietà pro-infiammatorie da parte delle cellule cerebrali (cellule della glia e neuroni), innesca a sua volta delle rapide modificazioni delle cellule nervose rendendole più suscettibili alle crisi epilettiche. I meccanismi coinvolti sono per molti aspetti diversi da quelli fino ad ora descritti per i processi infiammatori nell'organismo.
Grazie a questi risultati potremo curare meglio i pazienti colpiti dalla malattia?
È lo scopo e la speranza finale delle nostre ricerche: individuare trattamenti più efficaci con minori effetti collaterali.
Negli ultimi tempi si è anche iniziato a parlare di animali domestici in grado di prevenire le crisi epilettiche. Cosa c'è di vero nella pet therapy?
Non ci sono basi scientifiche che supportino quello che lei dice… L'unica cosa che possiamo affermare è che lo stress è uno dei fattori che può contribuire allo sviluppo di crisi epilettiche e che, quindi, un ambiente rilassante - dato per esempio dalla compagnia di un animale domestico - può contribuire a far stare meglio.
È vero che esistono vari tipi di epilessia?
Sì, non esiste un solo di tipo di epilessia, ma un insieme di diversi tipi di malattia, che si differenziano per molti fattori, quali le cause, le caratteristiche cliniche e la risposta ai farmaci.
Quanti sono gli italiani colpiti dalla malattia?
Circa 500mila. L'incidenza dell'epilessia riguarda, dunque, l'1% della popolazione.
È ancora da considerarsi una patologia fortemente debilitante?
Dipende dal tipo di epilessia e dall'efficacia dei farmaci.
Un giovanissimo a cui viene diagnosticata una forma epilettica può condurre una vita normale?
Certo che sì, però è necessario individuare la cura giusta e verificare che i farmaci facciano effetto.
Cosa si fa per quel 20-30% che non risponde alle terapie?
Il 10% circa può essere sottoposto a chirurgia per la rimozione del tessuto epilettico, negli altri casi si possono tentare terapie alternative sperimentali. Alcune, per esempio, si basano su stimolazioni specifiche del cervello o del nervo vago, altre si concentrano invece su diete particolari come quella ketogenica.

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