sabato 16 ottobre 2010

"Brassens è un esempio di anarchia e trasgressione che i vari Marylin Manson o avariate Lady Gaga si possono scordare"

Vacanze finite, tempo di ripresa. Quali i prossimi appuntamenti con Patrucco?
Durante il tempo di ripresa, farò quello che ho fatto nel periodo delle vacanze: porterò in giro Chi non la pensa come noi, il mio spettacolo. Tra le altre tappe, sarò al teatro della Cooperativa di Milano per una settimana intera – dal 3 al 7 novembre – e aprirò la stagione teatrale a Mantova, al Teatro Ariston, il 23 novembre. Di quest’anno, beninteso.
“La sua faccia e soprattutto la sua verve”. Da chi ha ereditato queste doti?
Non vorrei apparire snob, ma ho cercato di non prendere niente a nessuno. Soprattutto per non ferire l’ignaro “benefattore”. Nei limiti del possibile, ho sempre evitato di guardare “comicità”, per frequentare altro. Ammesso che abbia qualche dote, è farina del mio sacco. O almeno, così credo. Magari, senza rendermene del tutto conto, avrò preso dalle cose che mi piacciono. Detesto la comicità fatta a tormentoni, mi hanno stufato i personaggi caricaturali, mi infastidiscono abbastanza le imitazioni… Immagino che tutto il resto possa far parte del mio bagaglio.
Cosa si intende con scuola minimalista?
“Parola e recitazione, senza troppi orpelli. Contenuto e “contenente”, per intenderci. Nel mio caso, il filo del ragionamento è sporcato da uno scarto finale in grado di suscitare la risata. Per fare questo, massima attenzione su mani e volto. Da qui l’abito rigorosamente scuro, in omaggio, appunto, alla scuola minimalista”.
Cosa ricorda del suo debutto al Teatro Cabaret La Bullona in Corso Sempione a Milano?
Tanta ricerca mista a improvvisazione, imperizia e ingenuità. Non era tutto oro, c’era anche una buona dose di cialtroneria. Tuttavia, non mancava un certo rigore. Anche un palchetto sgangherato e cigolante andava guadagnato sul campo. Generalmente parlando, oggi la cosiddetta gavetta è ritenuta una perdita di tempo e i risultati si vedono.
Cosa sono stati per lei i Gufi?
Un bel punto di riferimento.
"Pessimismo cosmico” e “pessimismo comico”. Qual è la differenza?
La differenza è totale. Leopardi non c’entra assolutamente nulla. Nel mio piccolo, ho fondato una corrente satirica, detta per l’appunto del «Pessimismo Comico». Di questa corrente faccio parte soltanto io, nessun altro. Più che una corrente, uno spiffero, ma ci sono affezionato. Con questo gioco di parole ho trovato una definizione della mia comicità che mi pare calzante. Quella che propongo in scena, non è certo una visione edificante dei tempi che corrono. Pessimismo comico sintetizza bene.
Fra i tanti premi vinti, qual è quello che ricorda con maggiore soddisfazione?
Premesso che il “rito” mi ha sempre imbarazzato, non è ruffianeria dire che tutti quelli che ho avuto occasione di ritirare – non poi così tanti – mi hanno fatto piacere. Se qualcuno sente l’impulso di assegnarti un premio, va ringraziato senza fare classifiche. Il prestigio dell’attestato, in questo caso, non conta.
Perché Georges Brassens?
Perché considero Brassens il più grande autore di canzoni. Una persona geniale che utilizzava parole e musica povere di sentimentalismo e ricchissime di sentimento, acume e ironia. È la mia passione “musical – letteraria” di sempre. Perché è estremamente moderno e ha scritto brani straordinari, sia sotto il profilo della parola, sia dal punto di vista musicale. Con la mia traduzione e gli arrangiamenti di Daniele Caldarini, se possibile, lo restituiamo al pubblico ancor più attuale.
Oggi hanno ancora senso di esistere gli chansonnier?
Nella loro forma classica, forse no. Tuttavia, lo ripeto, Brassens è un esempio di anarchia e trasgressione che i vari Marylin Manson o avariate Lady Gaga, si possono scordare. Questi odierni provocatori, sono convinti di sconvolgere la platea con banali messinscena studiate a tavolino. In realtà sono la massima espressione dell’omologazione. I testi di Brassens graffiano ancora oggi, segno che la parola è sempre più rivoluzionaria di qualsiasi cortina di fumo che le si crea intorno. Se vogliamo, torniamo al minimalismo, anche se dal vivo sono accompagnato da una band che, mi si passi il gergo, pesta duro.
La vedremo ancora a Zelig?
Dipendesse da me, forse, perché no? Ma, onestamente, penso proprio che non siano interessati alle mie cose. Purtroppo, noto che la tivù ha sempre meno voglia di mischiare i generi, di azzardare, di osare… Ho come l’impressione che di un mio monologo manderebbero in onda solo le preposizioni semplici.
Dopo “Tempi bastardi” e “Vedo Buio!”, ha idea di pubblicare qualche altro libro?
Con Foschi Editore è in uscita, a ottobre, NECROLOGICA, un libro lapidario, col quale intendo chiudere la trilogia del Pessimismo Comico, dopo Tempi bastardi e Vedo Buio. È un lavoro al quale tengo molto, in quanto decliniamo la satira in tre forme: scritta, cantata e disegnata. È un libro sul quale, con Antonio Voceri, abbiamo lavorato parecchio e nel quale c’è parecchio: oltre 400 fra coccodrilli ed epitaffi umoristici su personaggi rigorosamente in vita, alcune formidabili illustrazioni di Sergio Staino e un CD con cinque brani mai tradotti in italiano di Georges Brassens (tre inediti e due live) sul tema della morte. Se l’argomento trapasso è un classico della comicità, possiamo dire che NECROLOGICA è roba da morire dal ridere.
Vive ancora a Carate Brianza?
Sì. Mi spiace per i residenti.
Infine, l’angolo milanese che Patrucco ama di più…
Si parla troppo spesso male di Milano. È vero, anche a Milano si respira una minor voglia di scoprire, di curiosare, di partecipare… E un bel po’ di polveri sottili. Ma non credo sia un problema solo di Milano. L’omologazione e la sciatteria di pensiero, così come lo smog, stanno prevalendo ovunque. Sarebbe il caso di contrastarli, ognuno con i propri mezzi e con le proprie capacità. Ecco, il luogo di Milano che più mi piace e quello dove si prova a combattere questa battaglia. Ce ne sono e spero che ognuno cerchi di scovare il suo”.

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