mercoledì 10 febbraio 2010

"That's the buzz, cocks"

Incontriamo Diego Montinaro una gelida notte invernale (il termometro segna - 2°C) al Tunnel di via Sammartini. L'occasione è ghiotta: fra pochi minuti assisteremo, infatti, al concerto dei Buzzcocks, leggendaria band inglese di fine anni Settanta. La coda fuori dal locale sembra non finire mai. Si preannuncia pienone. Il Tunnel dopo anni di oblio torna dunque a dettare la sua, proponendo il meglio dell'underground attuale.
Allora Diego, cosa ci aspetta stasera?
Beh, stasera abbiamo in cartellone una band storica del punk inglese e mondiale. Sono i Buzzcocks, da Manchester. Secondo i musicologi possono essere considerati i fondatori del cosiddetto pop-punk, con un altro gruppo cult, i Ramones.
Di cosa parlano le canzoni dei Buzzcocks?
Rispetto ai Clash e ai Sex Pistols - epigoni del genere - vivono meno la questione politica. Le loro canzoni, quindi, parlano soprattutto di sesso e droga. Simili argomenti sono presenti per esempio in storici brani come 'Orgasm Addict' e 'I need'. Nella loro lunga carriera, probabilmente, il brano più noto è però 'Ever Fallen in Love'.
Cosa significa Buzzcocks?
Il nome deriva dal linguaggio slang manchesteriano. 'Cock' significa 'giovanotto'. Probabilmente il nome della band nasce da un tormentone anni Settanta preso dalla serie televisiva 'Rock Follies': "That's the buzz, cocks", "Questo è un ronzio, ragazzi".
Con loro ci saranno altre band?
Sottolineo la presenza degli Shockin'TV, con Freddi, batterista dei Casino Royale e dei Bluebeaters.
Qualcosa sulla band apripista?
Si formano nel 1979 come gruppo punk. Il loro primo 45 giri risale al 1983. Poi vengono contaminati da altri generi: hard rock, psyco, e perfino country. Cambiano anche gli ascolti che puntano su proposte più eterogenee, spaziando dagli X di Los Angeles, ai Meteors, a Jason & The Scorchers. Il loro ultimo disco, in particolare, s'intitola 'Country's not dead'.
Parlando del Tunnel, quando hai deciso di prendere in mano le redini del locale?
Verso la fine di maggio del 2009. Dopo tre anni di esperienza al Sottomarino Giallo (locale di viale Abruzzi), ho saputo che c'era la possibilità di guidare la struttura di via Sammartini e non me la sono lasciata sfuggire.
Puoi dirci qualcosa della storia del locale? Sai quando è nato?
Il locale nasce nel 1995. Io, all'epoca, ero un assiduo frequentatore del Tunnel. Nella seconda metà degli anni Novanta è stato uno dei locali più importanti della scena underground internazionale. Poi, con gli anni Duemila, la prima gestione ha mollato e il locale ha preso un'altra direzione, organizzando anche serate di latino-americano. Ora si può dire che sia tornato alle sue origini.
Ha subito anche una ristrutturazione…
Sì. Abbiamo rifatto la pavimentazione, l'impianto luci e mix, allestito un ufficio stampa, ridipinto le pareti.
Underground. È il termine che meglio di ogni altro aiuta a descrivere la location di via Sammartini. Non ci sono privè, angoli chic, le luci sono sempre basse, la musica alternative impera. Sei sempre convinto di questa scelta?
Direi di sì. Arrivo da un locale underground, questo è il mio Dna. Il Tunnel si rivolge a persone come me, appassionate di particolari atmosfere, certi suoni che solo rispettando determinati parametri architettonici e di design è possibile assicurare.
Rispetto alla vecchia gestione anche la proposta musicale è cambiata. Oggi cosa si fa?
Al venerdì ci sono quattro programmazioni diverse, organizzate con quattro differenti staff. I primi due venerdì puntano soprattutto sull'indie, prendendo spunto dalle proposte di New Musical Express; il terzo venerdì ci occupiamo di elettro-dark alternativa, compresa la scena olandese della Clone Records: a novembre abbiamo avuto, per esempio, Alexander Robotnik e gli State of Heart, leggendaria band new wave locale; il quarto venerdì spazio a elettro e disco.
Sabato?
Elettronica, house, deep-house, con ospiti molto importanti provenienti, per esempio, da locali all'avanguardia come il Fabric di Londra, il Watergate e il Panorama Bar di Berlino.
Niente minimal e techno?
Niente.
E gli altri giorni?
Nelle serate infrasettimanali siamo aperti per eventi e concerti, come stasera, in pratica seguiamo il calendario.
Chi programma le serate musicali, e in base a quale criterio vengono selezionati gli artisti?
Me ne occupo io, con vari staff organizzativi. Insieme stabiliamo gli ospiti da invitare in relazione alle diverse programmazioni: ogni serata ha le sue esigenze ben specifiche.
Quali gli appuntamenti più interessanti per le prossime settimane?
Avremo i Notwist, indie rock tedesca, e Marcel Dettmann, caposaldo del Panorama Bar berlinese.
Chiudiamo con qualche domanda sul Diego Montinaro artista… È vero che inizi la tua esperienza musicale nel 1994 con un piccolo Atari e un campionatore Akai S950?
Confemo.
All'inizio, però, bazzicavi nell'ambiente hip hop milanese…
Verissimo.
Oggi, a Milano, è ancora viva questa realtà?
Non saprei, sono molto lontano ormai dalla cultura hip hop. Una volta, però, posso dire che c'era molto fermento.
C'era anche La Pina?
C'era anche lei, benché io avessi un altro giro.
Conosci i Razzalatina?
No.
In seguito sei finito a occuparti di elettronica. Come mai questo cambiamento?
Sono semplicemente cambiati i miei gusti musicali.
Cos'è il progetto Boogie Drama?
Un progetto di musica elettronica che sto gestendo con Lele Sacchi, mio socio e amico, direttore dei Magazzini Generali. Per ora, comunque, visti i numerosi impegni di lavoro, siamo fermi.
E Fred Ventura?
È il mio pigmalione. Ho prodotto con lui un disco per la Irma Records. Fred è uno dei miei principali punti di riferimento.
Il tuo ultimo album è 'My politix of dancing'… Come è andata?
Bene per la critica, un po’ meno sul fronte vendite. C'è stata comunque la soddisfazione di ricevere cinque stelle su Groove Magazine, fra le più importanti riviste musicali tedesche, gestita da Dj T, rappresentante della Get Physical. È un album dai suoni kraftwerkiani, con accenni anni Ottanta, new wave, disco e retro-disco.

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