REBETIKO
GYMNASTAS
Introduzione
Un
viaggio in Grecia nel 1998 porta Vinicio Capossela a incontrare per
la prima volta un genere musicale che affonda le sue radici nella
storia europea degli anni Venti, in concomitanza con la fine della
Prima guerra mondiale: il rebetiko. Da qui parte un'avventura
artistica e musicale che ha avuto il suo felice epilogo nel 2007, con
la registrazione di un disco ad Atene, in compagnia di alcuni fra i
più grandi musicisti rebetici dell'era moderna. Per cinque anni,
però, è rimasto in cantiere, dando modo a Capossela di volgere le
sue attenzioni al capolavoro Marinai, Profeti e Balene, un disco
incentrato sul mare, che anticipa concettualmente quest’ultimo,
riguardante il ritorno, la risacca, la riconquista della terraferma.
Oggi, dunque, dopo la fase di missaggio e masterizzazione la sua
pubblicazione va curiosamente a coincidere con la più grande crisi
patita dal popolo greco da decenni, riportando in auge sentimenti che
parevano dimenticati. Sono gli stessi che contraddistinsero i fervori
rebetici di quasi un secolo fa, quando la Grecia dopo il '22 visse un
periodo ancora più difficile di quello odierno. Il rebetiko nasce da
una necessita' di verita' di identita' e di radici che e' quantomai
attuale.Non è un caso, quindi, che, fino a ieri, i locali dove
proponevano questo tipo di musica, si contavano sulla punta delle
dita, mentre oggi sono sempre più frequenti.
Rebetiko
Gymnastas (che parafrasa un brano del poeta russo Vladimir Vysotsky)
è il titolo dell'ultimo lavoro di Capossela e il riferimento alla
ginnastica, madrina delle discipline olimpioniche, non è
incidentale: le prime forme di questo sport risalgono, infatti,
all'epopea della Magna Grecia, così come diviene di fondamentale
importanza per un rebetis (simbolo del rebetiko) compiere una sorta
di ginnastica esistenziale per poter affrontare a testa alta dolore e
sofferenza, in nome delle piccole gioie quotidiane e non per
ostentare con piglio narcisista fisici da capogiro; e la ginnastica è
anche quella espressa da Capossela e dai suoi musicisti per poter
offrire nuovi abiti alle quattordici canzoni contenute nel disco,
quattro inediti, nove brani presenti nella vasta discografia del
cantautore e una ghost track. Il rebetiko è, infine, il pretesto per
poter parlare di altre musiche legate alle vicissitudini
dell'esistenza (e ai retroscena storici dove il senso di umanità
trova il suo più ampio respiro), che Capossela ama definire
dell'Assenza (ma anche dell'appartenenza). L'artista italiano,
durante la sua ventennale carriera ne ha già affrontate diverse.
Ora, dunque, è arrivato il momento di parlare di Grecia non soltanto
per le nuvole addensate sulla situazione economica e sociale ,ma per
una della sue più identitarie espressioni musicale: il rebetiko.
1.
Canzoni rempetike
"Andava
di fretta il ragazzo, procedeva veloce, come per farsi inghiottire
dagli scalini, e allora pronti, in un balzo ci buttammo dietro al
passo per parlargli… domandargli, così al trotto, e quello
concitato com'era nella corsa balbettò soltanto 'là… là' e
indicava più in basso 'là… è la musica dei negri elleni.
Rebetiko si chiama!". È uno stralcio recuperato da Il
girone dei rebetici,
capitolo incluso in Non
si muore tutte le mattine,
romanzo scritto da Vinicio Capossela nel 2004. Narra l'incontro
dell'autore con un genere musicale pressoché sconosciuto in Italia,
ma assai vivo nell'immaginario collettivo greco: il rebetiko. Il
termine fa il verso alla parola turca rempèt, che significa
indisciplinato; al serbo rempèt (rivoltoso); al veneziano rebelo
(ribelle); o addirittura allo spagnolo rebelde (rivoluzionario);
tenuto conto del fatto che, specialmente a Salonicco, sussiste una
forte componente ebreo-sefardita che parla spagnolo e che i veneziani
spadroneggiano in molte isole dell’arcipelago ellenico. Ne parla
per primo lo scrittore popolare Ilias Petropoulos, che nella
primavera del 1968 pubblica il libro Canzoni
rempetike.
Nella sua introduzione parla di "piccole e semplici canzoni
cantate da gente alla buona". Divide il fenomeno in quattro
periodi: il primo, dalla fine del diciannovesimo secolo al 1922; il
secondo – detto "periodo del dominio di Smirne" - dal
1922 al 1932; il terzo – il periodo classico – dal 1932 al 1942;
il quarto – il periodo della popolarità – dal 1942 al 1952. Ne
discute con passione e dovizia di particolari anche la giornalista
Gail Holst, autrice del testo The
Road to Rebetika,
descrivendo il genere musicale come "un mondo artistico
profondamente originale, figlio della combinazione tra forme musicali
tradizionali del Mediterraneo orientale e le parole delle canzoni,
trattanti la malavita urbana e gli elementi meno rispettabili della
società".
2.
Le musiche dell'assenza
Vinicio
Capossela incontra il rebetiko nel 1998 (anche se già da un paio
d'anni con il fido Luca Bernini, giornalista e produttore musicale, è
solito chiamare un certo tipo di musica rebetiko
rokkarolla),
dopo aver affrontato molti generi pentagrammati idealisticamente
analoghi a esso, come il tango e la morna. E la musica Rom. Agli
tzigani arriva dopo l'esperienza maturata con la Kocani Orchestra,
fra le più importanti realtà musicali balcaniche. E film come Il
tempo dei gitani,
girato nel 1988 da Emir Kusturica. C'è anche la sua terra di origine
a parafrasare il microcosmo zigano, il piccolo centro di Calitri, in
provincia di Avellino, dove ha trascorso l'infanzia. "Liveinvolvo
(disco
del 1998) ne è la testimonianza", dice Capossela, sottolineando
l'utilizzo di certi macchinoni - le Volvo, appunto - così frequenti
fra gli tzigani, ma non meno fra i vecchi abitanti della terra
d'infanzia del cantante. Al tango giunge, invece, attraverso figure
leggendarie come Roberto Goyneche, soprannominato "el polaco"
per la sua magrezza e per i suoi capelli rossi, riconducibili alla
fisionomia dei giovani polacchi in cerca di una terra, dove poter
condurre serenamente la propria esistenza. Goyeneche rivoluziona il
tango, cantando in controtempo, imitando rigori canori assimilabili
al jazz di Louis Armstrong e al fado portoghese di Argentina Santos;
il regista Fernando Ezequiel "Pino" Solanas lo sceglie per
la colonna sonora di uno dei suoi film più celebri, Sur,
girato nel 1988, e vincitore del premio per la miglior regia al
41esimo Festival di Cannes, che apre il cuore e la mente del
musicista italiano. Alla morna, altresì titolo di una delle sue
canzoni più note, arriva immedesimandosi nel tema della "sodade",
termine indicante malinconia, nostalgia, rimpianto, desiderio: la
morna - etimologicamente riconducibile alle chanson
des mornes,
antiche canzoni caraibiche - è la musica tipica delle isole di Capo
Verde, intrisa di fado portoghese, modinha e lundum brasiliani. È un
universo di musiche estremamente variegato, ben lontano dai suoni e
dalle correnti tipiche del modernismo. Vinicio Capossela le definisce
Musiche
dell'Assenza,
dove per assenza
s'intende un sentimento struggente, figlio di una "mancanza"
incolmabile, che, però, viene vissuta di petto, senza lasciarsi
travolgere dai patimenti e dalla autocommiserazione. Chi si fa
portavoce di una musica dell'assenza non ha paura di nulla, tantomeno
della morte, che guarda in faccia con grande stoicismo, arrivando in
molti casi anche a sfidarla a viso aperto, bevendo, per esempio, come
spugne o drogandosi senza ritegno. I protagonisti di queste
composizioni sono, dunque, genti che non si preoccupano del domani -
ammettendo senza problemi che il domani possa anche non esserci - non
temono niente e nessuno, pur vivendo nella disillusione più totale:
"Sono musiche che non hanno paura del dolore", spiega
Capossela, "che affrontano il dolore con forza e coraggio, senza
chiedere aiuto a nessuno, senza dover credere per forza in qualcosa o
qualcuno che sta al di là dei nostri sensi, offrendoci, in sostanza,
una chance in più alla provvisorietà del vivere quotidiano. Sono
musiche che cantano la vita come se fosse sempre l'ultimo giorno; una
lama di gioia al fondo della più avvincente tristezza". Nelle
musiche dell'assenza, peraltro, il cantante, il musicista, il
virtuoso, contrariamente a quanto avviene nell'universo mainstream,
passa in secondo piano, lasciando che sia solo la musica a emergere,
permettendo ai presenti di vivere un’emozione “casalinga”,
familiare. “Un’emozione vicina alla propria quotidianità”,
afferma Capossela, “come quella che può derivare da un’azione
semplice e banale, tipo sedersi a tavola per consumare un tozzo di
pane o bere un sorso di vino”.
3.
Il primo incontro
Un
puro e semplice caso di "serendipità" ha portato Capossela
a sposare il fascino del rebetiko: "Stavo viaggiando diretto in
Macedonia, dopo l'avventura con la Kocani Orchestra; e non saprei
dire bene come e perché, sono finito a Salonicco". È l'antica
Tessalonica, la seconda città della Grecia per numero di abitanti,
una metropoli, dove da secoli convivono culture diverse, figlie della
dominazione ottomana, d'influenze ebraiche, bizantine e
paleocristiane. Qui, Capossela, entra per caso in una specie di
taverna, assimilabile a un antico tekedes, caffè stile turco,
frequentato dai mangas, personaggi tipici degli anni Venti in Grecia,
caratterizzati da lunghi baffi e fusciacche nelle quali nascondono un
coltello o la pistola. Rimane incantato dal suono prodotto da tre
musicisti che siedono parcamente in un angolo del locale: "Fu da
subito una musica dimessa, appoggiata, stanca e disillusa", si
legge su Non
si muore tutte le mattine.
"Venne dal cuore dello strumento e dalla retsina (vino bianco o
rosato da tavola greco), e come la retsina inebriava allo stesso
modo. La eseguivano seri, in un rito. Si spandeva la musica nella
sala, senza scuoterla. Saliva d'intensità. Scioglieva come anice e
con quella aumentava il brusio, la rakia e la conquista a cui
cedevamo. Avevano l'aria, gli interreati, di sapere già. Non davano
nemmeno l'impressione d'essere rapiti da quella loro musica. Pareva
che già vi appartenessero". Ecco, quindi, il secondo concetto
che Capossela, insieme all'assenza
ama esprimere parlando di rebetiko: quello dell'appartenenza.
"L'appartenenza a una sorta di girone dei congiurati, uomini e
donne rapiti dalle proprie vicissitudini, concrete, lontane da
qualunque retorica: persone fiere di stare lì a fumare e mandare in
cenere il proprio cuore".
4.
Il mormorio del bouzouki
Nella
taverna di Salonicco, due strumenti a corda pressoché inutilizzati
in Europa, catturano l'attenzione di Capossela: il più grande è un
bouzouki, il più piccolo un banglamas. Il primo è uno strumento
tricorde, sei corde raggruppate due a due, la cui accordatura -
Re-La-Re - offre l'opportunità di sviluppare accordi suonabili a
corde vuote o in barré, in qualsiasi posizione; lo stesso accade con
accordature simili, tipiche, però, delle località greche più
isolate: Sol-La-Re o La-Mi-La. Se non ci si cimenta con gli accordi
tradizionali, ma si vuol dar luogo a una melodia precisa o a un
assolo, si possono utilizzare numerose scale, consolidatesi negli
anni, dai nomi più disparati, in certi casi evocanti l'area
geografica di origine: hitzaz, hitzascar, pipaiotiko, houzam, rast,
armeno minori, sono quelle più comuni. Per strimpellare si
utilizzano le unghie o più comodamente un plettro. Oggi il bouzouki
tricorde è spesso sostituito dal quadricorde, che normalmente
obbedisce all'accordatura Do-Fa-La-Re, per via del processo di
occidentalizzazione della musica greca avviato (disdegnando i
puristi, ma rallegrando i tour operator) da Manolis Chiotis, stella
del panorama musicale ellenico, nato nel 1920 a Salonicco. Il
baglamàs è la versione in miniatura del bouzouki, non più lungo di
sessanta centimetri. "Per i mangas era l'ideale da portarsi in
carcere, perché maneggevole e facile da nascondere", rivela
Capossela. Nel locale ellenico il cantante italiano ascolta con
attenzione le note emesse dal bouzouki e dal banglamas e osserva con
curiosità e passione tutto ciò che lo circonda. Nota ogni
spettatore partecipare in prima persona allo show, se non cantando,
mormorando. E non è un caso, dunque, che la parola italiana
"mormorio", derivi dal greco murmurous,
che si rifà al termine "mourmourika", lemma con cui
vengono designate le composizioni proto-rebetiko sviluppatesi nel
1834 in Grecia, in corrispondenza del dominio bavarese, imposto dalle
grandi potenze mondiali per mantenere l'ordine alle porte del medio
oriente. I musicisti, pertanto, non ottengono un posto di rilievo
rispetto alla massa e non calcando un palco, si mettono, in pratica,
sullo stesso piano dell'ascoltatore. "Sono stato molto colpito
da quest'atteggiamento”, rivela Capossela, “dalla potenza di una
musica che incute rispetto e dalla volontà, quindi, di farsi da
parte per dare alle note la massima importanza”. Ma non va confusa
con quella folcloristica. La differenza risiede nel fatto che la
musica folk parla e si rivolge a microcosmi geografici specifici;
mentre il rebetiko è rivolto a tutti, essendo innanzitutto una
filosofia di vita, e trovando spazio per emergere in un contesto
rigorosamente urbano, dove si intrecciano storie e traversie di ogni
natura. Tuttavia il rebetiko risente anche della cultura
folcloristica greca detta dimotika,
derivante da antiche tradizioni rurali e incentrata soprattutto
sull'uso del clarinetto; altre contaminazioni riguardano le canzoni
popolari dell'est, dell'Arabia e della Turchia, giunte sul territorio
ellenico attraverso i numerosi porti a cavallo fra Europa e Asia; il
canto bizantino, gli inni della chiesa greca ortodossa e le serenate
dell'eptanissa,
musica proveniente dalle isole del Mar Ionio, facente capo al
compositore ellenico Nikolaos Mantzaros.
5.
Al cospetto di Vamvakaris
Tornato
in Italia, Capossela approfondisce il mondo del rebetiko, indagando
la storia del genere musicale e identificando i suoi principali
epigoni. Scopre che molti rebetis - similmente a numerosi altri
rappresentanti delle musiche dell'assenza - nemmeno depositavano le
loro opere, e che gran parte di essi moriva di stenti o morte
violenta; spesso giovanissimi. Chi non stramazzava al suolo per una
bastonata o per i colpi di un'arma da fuoco, moriva per una dose
eccessiva di eroina, e l'indomani veniva ritrovato esanime,
abbracciato magari al suo strumento preferito. Altri finivano in
prigione, si vantavano di essere finiti dietro le sbarre e non
vedevano l'ora di uscire per farsi di nuovo catturare, abbracciando
il concetto di ribellione come paradigma esistenziale. Capossela
individua, quindi, alcune fra le più grandi leggende del rebetiko,
come Markos Vamvakaris, soprannominato "il re del Pireo",
proveniente da Syra (Siro) - isola greca delle Cicladi - dove nasce
nel 1905. Dedicò tutta la sua esistenza alla musica, vivendo da
dandy, accompagnandosi con altri artisti come il cantante Stratos
Pagioumitzis e l'egregio suonatore di banglamas, Jiorgos Batis. Bussò
per la prima volta all'uscio di uno studio di registrazione nel 1932,
per incidere un paio di danze. Il successo gli arrise fra gli anni
Trenta e Quaranta, con la registrazione di numerosi dischi. Morì nel
1972, sessantaseienne, e a conferma del suo grande amore per il
rebetiko, venne seppellito col suo piccolo baglamas. "Un uomo
solenne", lo descrive Capossela, "vero rappresentante del
rebetiko in tutte le sue forme". Con le musiche e le canzoni
rempetike scopre anche il policromo mondo delle danze che circonda il
fenomeno, spesso espresso in tempi musicali e coreografie mai visti
in occidente. Le danze più popolari sono lo zeibekiko, il chassapiko
e il tsifeteli. La prima, la cosiddetta "danza delle danze",
segue un ritmo in 9/8; si balla singolarmente, ottenendo figure
sempre più complesse e spettacolari: in certi casi il danzatore
arriva a compiere vere e proprie acrobazie; ne esiste una variante -
detta karsilama - tipico ballo di coppia di origine ottomano. La
seconda - nota anche col nome di butcher's dance (chasapis è appunto
il macellaio) - segue battute in 2/4 o 4/4 ed è eseguita da due o
tre ballerini che si tengono per la spalla, richiamando
esplicitamente le movenze del sirtaki. Alcuni ballerini la affrontano
muovendosi sui tacchi. L'ultima, detta ballo della fertilità, viene
assimilata a una specie di danza del ventre, con protagoniste le
donne.
6.
Contratto per Karelias
La
prima composizione caposseliana a risentire esplicitamente del
rebetiko è Contratto
per Karelias,
un adattamento di un brano composto da Markos Vamvakaris, il re del
Pireo. Finisce nel disco del 2000 intitolato Canzoni
a manovella,
il quinto della carriera dell'artista, composto da diciassette tracce
e brani epici come Marcia
del camposanto
e Con
una rosa.
La Grecia e lo stile di vita dei rebetis sono fin troppo eloquenti.
"Da Salonicco a Kalamata, da dieci giorni mi divora la ferrata;
nella spezia della sera, dal Bosforo d'argento fino a Izmir bevo
rakja, rakja vieni a consolarmi dalla pena e dal dolor (…); cala la
luna e io non spero, l'illusione è lusso della gioventù".
Capossela centra un brano di grande struggimento, riportando in vita
fantasmi sepolti da quasi cento anni. È il preludio a un nuovo
viaggio ad Atene affrontato dal cantautore a cavallo fra il 2000 e il
2001 per dare ulteriore forza a questa nuova passione; ed è un altro
incontro felice, anche se ci vorranno vari anni e vari dischi
(l'Indispensabile
del 2003 e Ovunque
proteggi
del 2006) prima di poter tornare a parlare esplicitamente di
rebetiko.
7.
Appuntamento a Monastiraki
Inizio
2007. Una cantane greca incide due brani di Vinicio Capossela: Corre
il soldato
(dell'album Canzoni
a manovella)
e Non
è l'amore che va via
(del disco Camera
a Sud).
Si chiama Dimitra Galani. È nata ad Atene nel 1952 e ha iniziato la
carriera giovanissima, nel 1968 (quando Vinicio Capossela ha appena
tre anni), cantando due canzoni di Dimos Moutsis nell'album Smile.
In seguito propone brani di autentiche leggende della musica ellenica
come Mikis Theodorakis e Vasilis Tsitsanis e partecipa alle
registrazioni di una settantina di dischi. Conosce, alfine, l'arte di
Capossela, in qualche modo già da anni riconducibile all'universo
musicale greco, e incide i due pezzi selezionati dai dischi del
musicista italiano. In uno - Non
è l'amore che va via -
chiede direttamente all'autore tricolore di partecipare alle
registrazioni. Capossela ne è lieto, vola ad Atene e sigilla il suo
primo contatto ufficiale con la realtà discografica greca. Terminate
le incisioni, però, memore delle esperienze avute fra il '98 e il
2000, anziché rincasare, chiede a Dimitra di accompagnarlo dove si
suona il rebetiko. Finisce così in un locale, presso il quartiere
Victoria, dove si sta esibendo Kaiti Ntali. "L'ho trovata
straordinaria", ricorda Capossela. "Un incrocio fra la
maestosità di Chavela Vargas (cantante messicana originaria della
Costa Rica), il vibrato di Jimmy Scott (vocalist americano affetto da
una malattia genetica che gli consente vocalismi estremi) e
l'attitudine rock di Patti Pravo. La gente gettava garofani rossi ai
suoi piedi, ma lei pareva altrove, con i suoi occhi chiusi e la sua
eccezionale capacità di tenere il palco. Con lei c'era anche un
meraviglioso suonatore di bouzouki, un monumento di pietra con due
baffi da vero rebetis: Manolis Papos". Capossela s'impone di
conoscerlo e lo trova nel cuore di Monastiraki, uno dei quartieri più
caratteristici della vecchia Atene. Nasce così l'idea di lavorare
insieme. Ad aprile organizza un mini tour ad Atene. Presenta Ovunque
proteggi
(il primo suo primo disco ad arrivare in cima alle classifiche
italiane e a vendere 80mila copie in dieci mesi), nonché brani di
altre raccolte ri-arrangiati in chiave rebetiko. Per una settimana è
ospite fisso di una delle più prestigiose location ateniesi: l'Half
Note. Con lui suonano i musicisti rebetici Manolis Papos, al
bouzouki, e Vassilis Massalas, al banglamas. E la prima sera lo
affianca la Galani."C'è già molta Grecia nel nostro live,
anche se del nuovo disco non c'è ancora traccia", spiega
Capossela. Ciò è anche dovuto all’approccio agli spettacoli dal
vivo, contemplanti la mitologia ellenica, e in particolare la figura
del minotauro, l'essere mostruoso metà uomo e metà toro, figlio del
Toro di Creta e di Pasifae, regina di Creta. È, in effetti, il
periodo in cui l'autore italiano è solito presentarsi dal vivo (al
grido di rebetiko minotaurus) con la maschera sarda del Boes (tipica
del carnevale di Ottana, un paesino in provincia di Nuoro), che
rimanda alla figura leggendaria del minotauro. Ma è solo l'inizio,
perché di lì a poco - tre mesi circa - iniziano le registrazioni
per il primo disco greco di Capossela: Rebetiko
Gymnastas.
8.
Il mixer dei Pink Floyd
L'estate
del 2007 è ricordata in Grecia come l'estate del fuoco. Nel
Peloponneso si scatena un'infinita sequenza d'incendi che in breve
tempo inceneriscono mezza nazione: si parla di circa 3mila incendi,
con 64 vittime e temperature costanti superiori ai 40°C centigradi.
Un vero inferno. È dunque in quest'apocalittica cornice che il disco
di Vinicio Capossela vede la luce. "Il disco nasce sull'idea dei
vari pezzi arrangiati durante le esibizioni live all'Half Note",
rivela Capossela. "Le mie canzoni hanno preso una forma
assolutamente diversa, grazie agli interventi di Papos e degli altri
musicisti". È qui che comincia a essere fortemente accarezzato
il termine gymnastica.
Capossela
rivela l'intenzione di voler far fare un po’ di ginnastica ai suoi
brani, complicandoli, come sempre più complicata è spesso una
sequenza di esercizi ginnici. È così che, per esempio, una canzone
come Scivola
vai via
(del suo disco d'esordio, All'una
e trentacinque circa),
esercitandosi su un inusuale tempo di 9/8, viene cantata aggiungendo
di volta in volta una battuta in più e dunque dando l'impressione di
un pezzo che - letteralmente - scivola
e va via.
Il disco viene realizzato in un vecchio studio di Atene, il Sierra
Studio, su nastro analogico. il mixer utilizzato si dice sia quello
con cui i Pink Floyd hanno registrato uno dei loro più grandi
capolavori, The
Dark Side On The Moon.
"C'è altresì l'idea di ricreare un po’ l'atmosfera evocata
da dischi cult come quello d'esordio dei Buena Vista Social Club,
capitanati da Ry Cooder", dice Capossela, "proprio per
questa volontà di ridare lustro a un genere dimenticato,
confrontandosi con le realtà locali, musicisti di straordinario
talento, una Buena Vista Social Club del Mediterraneo". È un
disco sostanzialmente registrato in diretta: "Da tre take si
ricavano le registrazioni migliori, dopodiché si procede con
pochissime sovra incisioni", sottolinea l'artista. Al mixer c'è
Taketo Gohara, ingegnere del suono che ha accompagnato l'autore
italiano anche nel suo ultimo lavoro dedicato al mare e intitolato
Marinai,
Profeti e Balene.
Il suo nome è, peraltro, legato a varie altre realtà musicali del
Belpaese come Marta Sui Tubi, Ministri e Mauro Pagani. Gli altri
musicisti coinvolti nel progetto - oltre a Manolis Papos (bouzouki),
Vassilis Massalas (banglamas) e Kaiti Ntali (voce) - sono Ntinos
Hatziiordanou (fisarmonica e farfisa) e Socratis Ganiaris (batteria,
congas, bongos, shakers, bendir, ntefi, una specie di tamburello). Ci
sono poi vari ospiti: Ricardo Pereira suona la chitarra portoguesa in
Morna;
Marc Ribot presta la sua sei corde in Abandondato
e Rebetiko;
Mauro Pagani fa vibrare il suo violino in Con
una rosa.
E c'è soprattutto Vinicio Capossela che canta con la sua solita
maestria, picchiettando sui tasti di un vetusto pianoforte a muro,
l'ideale per conferire il suono desiderato alle canzoni in scaletta.
9.
Dopo il Trattato di Sèvres
Con
la fine della terribile estate greca, costata ingenti danni alle
casse dello Stato e il tracollo di numerose aziende agricole, le
registrazioni sono concluse, ma l'album rimane in stand-by: "C'erano
altre cose su cui avevo deciso di concentrarmi, compreso il disco
incentrato sul mare che sarebbe uscito nell'aprile 2011, che
concettualmente precede il lavoro sul rebetiko", dice Capossela,
"così abbiamo aspettato per farlo uscire". L'album viene
ripreso in mano alla fine del 2011, all'indomani dell'ultimo tour; un
periodo che, paradossalmente, si rivela assai più congeniale del
2007 per un semplice motivo: il rebetiko, in Grecia, sta tornando di
attualità. Ciò risiede nel fatto che il genere musicale, come molte
altre musiche dell'assenza,
è tipico dei contesti sociali più sofferti, più aspri, dove
l'economia vacilla e la gente fatica a vivere in modo dignitoso;
retroscena storici come quello che ha dato i natali al rebetiko, ma
anche analoghi a quelli che stiamo vivendo oggi, dopo il patatrac
delle banche a livello internazionale. La nascita del rebetiko evoca,
infatti, uno dei periodi più bui della storia greca. È quello
successivo alla Prima guerra mondiale, quando parte dei territori
dell'Anatolia e della Tracia, comprese le città di Adrianopoli e
Smirne, finirono nelle mani dei greci. Il trattato di Sèvres (10
agosto 1920) sancì nuovi confini fra i due stati, Grecia e Turchia,
ribadendo in qualche modo gli equilibri geografici instauratesi più
volte nel corso della storia, ma nel maggio del 1919, i turchi,
innescano la guerra greco-turca, per riprendersi le terre che,
secondo il loro discutibile punto di vista, gli spettano. Il
confronto decisivo avviene con l'esercito greco che tenta di prendere
Haymana, centro a pochi chilometri da Ankara. I turchi si difendono
con caparbietà e alla fine riescono ad avere la meglio, ribaltando
completamente le sorti del conflitto. Gli ottomani, nel corso della
cosiddetta "Grande offensiva", surclassano definitivamente
il nemico nella battaglia di Dumlupinar. I greci sono costretti a
scappare e a rifugiarsi a Smirne, centro popolato da 250mila anime,
perlopiù di origine ellenica, presto battezzato "regno del
terrore", per le atrocità che si perpetrano. Ma anche qui
giungono i turchi che, guidati da Mustafa Kemal Ataturk, primo
presidente della Repubblica turca, incendiano l'agglomerato urbano
cacciando una volta per tutte gli abitanti originari. La guerra si
chiude con l'armistizio di Mudanya dell'11 ottobre 1922 e il rientro
in patria forzato di quasi due milioni di greci. È a questo punto
che esplode a livello internazionale il rebetiko, in incubazione già
da vari decenni, come forma di ribellione espressa dai rimpatriati,
che non riescono più ad adattarsi alle vecchie abitudini e vengono
malvisti da chi non ha mai lasciato la Grecia.
10.
Presagi di una tragedia greca
Anche
oggi, dunque, la situazione economica e sociale è così precaria da
aver rinnovato gli umori che permisero ai greci di quasi cento anni
fa di dare vita all'epopea rempetika.
"Di
fatto la parola 'crisi' è etimologicamente riconducibile al termine
'dividere', concetto che ben si addice al rebetiko, inteso come una
musica di separazione, così come alla Grecia stessa, in un certo
senso separata dal resto dell'Europa", dice Capossela.
I
problemi iniziano a farsi tangibili a cavallo fra i 2008 e il 2009:
per la prima volta dal 1993 l'economia greca registra un caso di
recessione. Alla fine del 2009 la disoccupazione è al 9,6% e il
debito pubblico al 113,4%; il primo ministro George Papandreou
dichiara il rischio di bancarotta. Il caos prosegue per tutto l'anno
successivo, con un incremento dei fallimenti aziendali del 15%.
Mentre nel 2011 l'agenzia di rating Moody's taglia ulteriormente il
rating della Grecia portandolo alla valutazione Caa1. Tutto ciò si
ripercuote pesantemente sulla popolazione che, ricalcando i greci
degli anni Venti, proprio nella musica potrebbero trovare sfogo alle
proprie pene. Nel marasma economico, purtroppo, sono coinvolti anche
i più piccoli. L'Unicef pochi giorni fa ha fatto sapere che in
Grecia si sta ripristinando un problema che sembrava tramontato con
la fine della Seconda guerra mondiale: la denutrizione fra i minori.
Gli esperti dell'Università di Atene comunicano che 439mila bambini
vivono al di sotto della soglia di povertà. "In molte scuole di
Atene la situazione è drammatica", ha rivelato Maria
Iliopoulou, direttrice del brefotrofio della capitale. "Alcuni
bambini sono svenuti in classe per la fame". Ma la crisi non
risparmia gli adulti. Uno studio pubblicato sulla prestigiosa rivista
«The Lancet» e intitolato Presagi
di una tragedia greca
rivela che dal 2007 a oggi, la situazione sanitaria del Paese è
peggiorata in modo drammatico. I greci non si curano più, disertano
medici e dentisti: li scoraggiano le lunghe liste di attesa o la
chiusura dei presidi locali per via della recessione economica.
Incrementano i casi di gravi stati patologici legati all'ansia e alla
depressione. E aumenta in modo esponenziale il consumo della seconda
droga preferita dai rebetis, dopo l'hashish: l'eroina. Gli eroinomani
sono cresciuti del 20%, mentre i programmi di recupero per
tossicodipendenti o quelli per gli interventi di strada diminuiscono
di un terzo. "La Grecia ha la percentuale di tossicodipendenti
più alta d'Europa", dice Capossela, all'indomani del suo ultimo
viaggio ad Atene avvenuto ad aprile 2012. "Qualcuno ha calcolato
che il tremendo buco finanziario dei conti dello Stato potrebbe
essere colmato semplicemente da tutti i proventi derivanti dal
consumo di eroina, cocaina e cannabis. Anche il rebetiko, del resto,
ha avuto uno sviluppo parallelo a quello del consumo di droga: metà
del repertorio è, infatti, dedicato al cassish, nome originale
dell'hashish consumato nei narghilè". Ci si mette anche l'Aids
(che, almeno, al tempo dei rebetis non esisteva) con un incremento di
casi del 50%. "Sicché non stupisce sapere che s'è venuto a
creare lo stesso senso di smarrimento che contraddistinse la Grecia
di parecchi anni fa", riflette Capossela. "Il consumismo ha
avuto il sopravvento, indicando nuovi bisogni e necessità. Con il
crollo di questo meccanismo, però, non solo ci si è ritrovati più
poveri, ma anche privi di identità. Possiamo allora dire che non si
è trattato esclusivamente di una crisi economica, ma anche di un
tracollo a livello culturale e identitario. In fondo, anche le
generazioni che ci hanno preceduto erano povere, ma potevano contare
su un senso di appartenenza che a noi è venuto a mancare e che, in
qualche modo, offriva un rifugio alle incertezze della vita: in
Grecia questa identità era fornita anche dal rebetiko”.
11.
Lezioni di Gymnastika
Il
disco registrato nel 2007 ad Atene viene oggi pubblicato
ufficialmente, dopo post produzione e missaggio effettuato presso Le
Officine Meccaniche di Milano nel 2009 dal noto produttore
indipendente statunitense, JD Foster (già al fianco di artisti come
Calexico e Marc Ribot) e masterizzato, sempre nel capoluogo lombardo,
al Nautilus, da Giovanni Versari. Consta di quattordici tracce, fra
cui quattro inediti, compreso un pezzo di Vladimir Vysotsky. È uno
fra i più grandi poeti e cantautori della seconda metà del
Novecento russo. Di lui in Italia s'è occupato il Premio Tenco che
ha promosso una raccolta di canzoni a lui dedicata, pubblicata da Ala
Bianca, e interpretata da varie figure del cantautorato italiano fra
cui Roberto Vecchioni. Il cantante Eugenio Finardi interpreta il
musicista nell'album Il
cantante al microfono
del 2008. Lo stesso Capossela incontra Vysotsky nel 1998, in piena
fase Rom, pubblicando Il
pugile sentimentale,
titolo tradotto di una canzone del poeta russo risalente al 1966. In
questo caso, però, il riferimento a Vysotsky non è casuale, poiché
Utrennaya
Gymnastyka
annuncia ufficialmente il tema che dà il titolo al disco, la
ginnastica, appunto. “È quanto di più appropriato possa esserci
per questo tipo di lavoro”, spiega Capossela, "tenuto conto
del fatto che la ginnastica è propria del culto ellenico". Le
prime forme di ginnastica nascono, infatti, in Grecia. I soldati si
sottoponevano a esercizi ginnici per poter meglio affrontare il
nemico; se ne servivano anche per riuscire a salire e scendere da
cavallo con maggiore agilità e per migliorare le tecniche
acrobatiche circensi. Ma sono anche esercizi fini a se stessi, come
quelli elaborati dal 776 a.C. al 396 d.C., in virtù dello sport più
rappresentativo dei Giochi Olimpici (comprendenti anche la corsa e il
pugilato). I Dori, in particolare, originari della regione danubiana,
eccellono in questa disciplina. L'attitudine alla ginnastica è
ereditata dai romani e prosegue per secoli come attività sportiva
per migliorare le proprie condizioni fisiche. Si arriva dunque a
considerare la ginnastica come valore educativo e garanzia di salute
con gli studi del pedagogista tedesco Friedrich Ludwig Jahan che, a
cavallo fra il Settecento e l'Ottocento, getta le basi per la
ginnastica moderna, e inaugura a Berlino la prima palestra pubblica.
Vysotsky, però, prende le distanze dalla ginnastica, deridendo il
culto del ginnasta forte e potente ostentato dalla cultura sovietica
come un bene necessario per il corpo e per la mente. "Vysotsky
si burla di questo conformismo, fa del sarcasmo usando l'arma
musicale", dice Capossela. "Lui, del resto, era un uomo
'vero', un omone che non si risparmiava per niente e nessuno: scalava
le montagne, ma allo stesso modo non si dava limiti con l'alcol e il
fumo". È anche lui, quindi, assimilabile a un vero rebetis che
compie un altro tipo di ginnastica, forse più spirituale, per
arrivare a sviluppare un atteggiamento diverso nei confronti della
vita, basato sul senso di appartenenza a un preciso paradigma
sociale: “Un paradigma che mette al centro l’uomo”, spiega
Capossela, “consentendo di giudicare una persona per quella che è,
per quello che dà e riceve, e non per ciò che possiede”.
Capossela canta il brano di Vysotsky in russo, supportato da due
ottimi traduttori: Kaliopi Veta e Vassilis Massalas. Gli altri
inediti sono Abandonato,
un pezzo rivisitato dell'argentino Ataualpa Yopanqui,
Rebetiko
e Misirlou,
fra più antichi brani rebetiko, contenuto anche nella colonna del
celebre film Pulp
Fiction.
Mentre la copertina è stata affidata a uno dei più bravi fumettisti
in circolazione: il francese David Prudhomme, autore del libro
Rebetiko (edito da Coconino Press).
12.
La chiusura del cerchio
"Il
nuovo disco”, dice Capossela, “è il logico prosieguo di Marinai,
profeti e balene.
Qui c’erano il mare aperto, la deriva, gli orizzonti sconfinati, le
ire di Zeus; in questo, invece, la risacca, il ritorno, il rientro a
casa, l'abbandono delle coste natie (quelle di Smirne) per i porti
del Pireo". Là c'erano il Billy Bud di Melville, e Lord Jim di
Conrad; qui la disillusione di Abandonato,
la vedovanza di Morna
e le cose semplici de Las
Simples Cosas.
In pratica si chiude un cerchio ricamato con le musiche dell'assenza,
a bordo di una nave inimmaginata che ha girato mezzo Mediterraneo
(come Ulisse?), prima di approdare a un porto sicuro, dove
abbandonarsi a tanghi, morne e… rebetiko. “Un lamento che si
canta in coro, ma si balla da soli. Un coro per farsi coraggio di
fronte alla tempesta della vita, di fronte al capriccio del fato,
perché succeda quel che succeda, ci resta sempre la consolazione che
tutto andrà com'è già stato scritto".
LE
CANZONI
1.
Abandonato:
La
canzone che apre il disco prende spunto da una composizione di
Ataualpa Yopanqui, storico cantautore, chitarrista e scrittore
argentino, da molti considerato il rappresentante più importante
della musica folcloristica facente capo a Buenos Aires. In realtà è
la versione di Juanjo Dominguez, con il suo particolare fraseggio
chitarristico, a giungere alle orecchie dell’autore italiano;
Dominguez è uno fra più importanti suonatori di chitarra classica a
livello mondiale, vincitore nel 2005 del Konex Award, onorificenza
argentina di grande prestigio. Capossela sceglie, dunque, di
interpretare questo brano elaborando un testo personale non lontano,
però, dal concetto espresso dalle liriche originali. Anche qui,
infatti, emerge il modello esistenziale del ebeti, rifacendosi a uno
stile di vita in cui "non bisogna avere paura della propria
natura, della provvisorietà umana e dei guai che essa arreca".
Il testo è fin troppo esplicito… "C'è in questo pezzo la
volontà di evidenziare lo stile anticonformista del rebetis",
continua Capossela, "che, in pratica, si lascia passare la vita
addosso, la vita fra i denti. È un'ottima canzone per il suono del
bouzouki, vero principe dell'intero disco". Ospite di questa
registrazione è Marc Ribot, già con Capossela in precedenti lavori
e al fianco di star internazionali come Tom Waits, Elvis Costello ed
Elton John.
2.
Rebetiko
"Ebbro
fino agli occhi, vuoto fino al cuore gonfio di regine e di dolore
(…); fatevi più stretti attorno, questa sera non mi basta il
mondo… nel cerchio del rebetiko da solo, come una parata, come in
un addio, questo ballo è solo il mio". Bastano queste lampanti
parole tratte dal testo di Rebetiko
per
comprendere in tutta la sua lucidità e straziante veridicità la
filosofia del rebetiko; la figura di un mangas prende vita da questo
virgolettato e lo si può benissimo immaginare offuscato dal fumo
dell'hashish di un caffé turco, mentre abbandona la sua sedia per
iniziare a muoversi quasi catarticamente fino a farsi travolgere
completamente dalle note di un bouzouki. "Dimostra quanto sia
verosimile la più classica fra le scene vivibili in un tekedes",
dice Capossela, "nel momento in cui all'intonazione di un canto,
può seguire il mormorio di un coro, ma il ballerino che si alza per
danzare, lo fa in assoluta solitudine e per una volta sola in una
sera". È una canzone che invita chiunque conservi un po’ di
"assenza" dentro sé, a impiegare la pista e iniziare a
muoversi seguendo i passi di una danza improvvisata, parafrasando il
più celebre botta e risposta di Zorba
il Greco
(film del 1964 girato da Michael Cacoyannis), ormai appannaggio
dell'immaginario collettivo, anche di chi non sa nulla di grecità:
"Teach me to dance…"; "dance? Did you say dance?!".
È qui che a livello popolare s'inizia a parlare di sirtaki, senza,
però, sapere che il ballo greco più famoso del mondo è figlio di
una danza ellenica chiamata hasapiko, la danza dei macellai,
"assorbita" dal rebetiko negli anni d'oro della diaspora.
L'incisione di Capossela, greca fino al midollo, mostra l'impazzare
del bouzouki di Papos, che ammanta l'intero brano con la sua cadenza
melliflua e orientaleggiante, che sussurra di epoche lontane e
cocenti addii: “Baciami una volta e lasciami morire… è tempo di
morire per te sola”.
3.
Misirlou
"È
il pezzo più randagio del disco, frutto del genio di un rebetis che
non ha mai depositato il brano", dice Capossela. "Deriva da
Smirne, storica culla dei padri del rebetiko, e parla di una ragazza
egiziana (di religione islamica) di cui, presumibilmente, l'autore
s'è innamorato". Nel brano, infatti, ricorrono sovente lemmi
arabeggianti che invocano il sentimento più eccelso. "Oh mio
amore, oh mia notte, ah, dalle tue labbra cade miele, ah…". È
divenuto famoso per essere stato incluso nella colonna del celebre
film, Pulp
Fiction,
ma in pochi conoscono la sua vera "identità". Oggi la
canzone è annoverata nel vastissimo repertorio della musica greca
tradizionale, ma sono in tanti ad averla riproposta nella storia
musicale del Novecento. Il primo è Michalis Patronis nel 1928, in
piena epoca rebetiko; l'hanno poi ripresa il jazzista Nick Roubanis e
il chitarrista Dick Dale, che ne fa una versione surf-rock nel 1960;
mentre con il sopravvento del rock è suonata dai Beach Boys e dai
Black Eyed Peas. Nel disco di Vinicio Capossela è invece
interpretata da Kaiti Ntali, "con quella sua voce
particolarissima, quasi assimilabile a un timbro maschile". La
canta in greco, conferendo grande fascino a un brano che non ha
bisogno di particolari sforzi per stare in piedi. Anche qui fa,
dunque, capolino la "gymnastika", che è quella sostenuta
dallo stesso Capossela soffiando nel microfono a intervalli regolari
per rinforzare la "voluttuosità" del brano, creando una
sorta di percussione aerofona.
4.
Utrennyaya Gymnastika
La
canzone è cantata in russo da Vinicio Capossela, grazie al
contributo di una traduttrice greco-russa, che ha consentito
all'autore di intonare altresì la strofa finale in greco. Il titolo
di Vladimir Vysotsky, Utrennyaya
gymnastika,
rimanda alla tradizione sovietica, incentrata sulla cultura del
fisico possente, scolpito e prestante: non è un caso che alle
Olimpiadi i russi e i paesi limitrofi abbiano sempre primeggiato
sugli altri. Ma Vysotsky coglie il pretesto per satireggiare su
questo aspetto sociale, prendendo in pratica per i fondelli i
connazionali, e ridendo di questa contemplazione esasperata del
corpo. "In questo frangente l'esercizio ginnico è stato
doppio", rivela Capossela. "Da una parte, infatti, ho
dovuto imparare a cantare in due lingue molto diverse dall'italiano,
il russo e il greco, dall'altra l'intera canzone è stata sottoposta
a un restyling compositivo, passando dal classico tempo binario a un
9/8, assai più difficile da sostenere". Il 9/8 - come il 12/8 e
il 6/8 - è un tempo composto e si divide in tre battiti o movimenti
i cui accenti sono: forte, piano, piano. Ogni movimento o battito
vale 3/8. È tipico di alcune danze greche, ma anche di varie gighe
irlandesi.
5.
Contrada chiavicone
"È
proponendo questo pezzo dal vivo che abbiamo cominciato a parlare di
rebetica
rokkarolla",
dice in tono scherzoso Vinicio Capossela. "Incosciamente,
dunque, il mondo del rebetiko cominciava a farsi strada nei nostri
neuroni, imponendo alla nostra attenzione le musiche dell'assenza, e
i meravigliosi mondi da esse celati. In particolare, con rebetika
rokkarolla
solevamo intendere pezzi particolarmente 'nervosi', come Contrada
chiavicone",
canzone risalente al 1996, e inclusa nel disco Il
ballo di San Vito;
per la prima volta al fianco del musicista italiano c’è Marc
Ribot: “Di fatto è dopo il suo solo, un vero esercizio ginnico,
che iniziamo ad accarezzare il termine”, precisa Capossela. Il
brano si presta benissimo alla rivisitazione in chiave ellenica,
offrendo un autentico "duello" di bouzouki, entrambi
suonati con grande maestria da Manolis Papos. "È un disco
praticamente registrato in diretta", afferma l'autore, "ma
per questo brano s'è fatta un'eccezione, dando modo a Papos di fare
‘ginnastica’ su due tracce differenti. Viva anche l’idea di
creare un sound analogo a quello udibile dai finestrini abbassati di
un taxi ateniese, in pieno traffico, nel cuore di un'infernale estate
greca”. In questa canzone i musicisti coinvolti nel progetto hanno
messo a disposizione le loro ugole, affrontando una serie di coretti
che hanno infine caratterizzato l’esecuzione. Un'ultima curiosità:
chiavica
è
la traslitterazione greca di yπόνομος,
così
come chiavicone
deriva da o
του υπονόμου. Entrambi
i termini si riferiscono alla malavita del Pireo, in zone
particolarmente calde come il quartiere Truba. "Vieni da Truba?
Allora non puoi che essere un malavitoso", un tipico botta e
risposta, presente nell'immaginario collettivo facente capo ad Atene.
6.
Con una rosa
La
canzone, originariamente inclusa nel disco Canzoni
a manovella,
uscito nel 2000, e coverizzata da Giusy Ferreri nel 2009 nel suo
album fotografie,
trova in questo lavoro linfa nuova per affascinare e piacere. Tutto
per via dell'utilizzo di un groove assai particolare, il bajon: è un
ritmo sincopato, vagamente assimilabile alla samba (altra musica
annoverabile fra quelle dell'assenza), che supponendo un tempo in
4/4, corrisponde a 22/25 battute musicali. Alcuni confondono il bajon
con il fox, benché le due forme musicali non abbiano niente in
comune. "Abbiamo realizzato questo brano con un ritmo battezzato
'ellenico bajon", rivela Capossela, "conferendo alla
canzone un andamento più serrato rispetto alla versione originale,
più orientaleggiante". Il risultato è figlio anche
dell'impiego azzeccato del violino elettrico suonato da Mauro Pagani,
ex PFM e storico collaboratore di figure come Fabrizio De André e
Gabriele Salvatores. "Un approccio musicale che rimanda ai mondi
pentagrammati di Oum Kalthoum", asserisce Capossela, una fra le
più leggendarie cantanti egiziane, nata nel villaggio di Tamay
al-Zahayra nel 1904 e morta al Cairo nel 1975. La grecità del pezzo
è offerta anche dal titolo che invoca le rose, fiori notoriamente
ascrivibili all’iconografia rebetika. "Ora si può dire che la
canzone ha perso molto della sua elegante aria originale", dice
Capossela, "e si può assimilare a un pezzo da night club
egiziano".
7.
Contratto per Karelias
Può,
di fatto, essere considerata la prima canzone rebetika composta da
Vinicio Capossela, presente nel disco Canzoni
a manovella (del
2000): non a caso è realizzata subito dopo il rientro da Salonicco,
nel 1998, con il primo tu per tu con gli epigoni Markos Vamvakaris e
Manolis Chiotis. "Il testo, in particolare, è debitore
esplicito del microcosmo esistenziale evocato dai rebetis", dice
Capossela. "Nella canzone, infatti, ho cercato di mettere quel
senso di disillusione vissuto da ogni autentico mangas, una sorta di
accettazione dell'esistenza, senza, però, pietismi o ricorsi alla
religione". Il testo è quanto mai eloquente: "Ora è la
brace che consuma anche per me; ho un contratto per Karelias, fuma,
fuma l'illusione e fumo anch'io…". E il finale, che rimanda a
Fragkosiriani,
celebre brano di Vamvakaris, è epico. Anche il tempo dà modo a
Capossela e ai suoi musicisti di fare un po’ di 'sana' ginnastica.
È infatti il tipico tempo osservato da una delle più importanti
danze greche, l'hasapiko (che significa 'macellaio'), le cui radici
affondano alla corporazione dei macellai arvaniti, un popolo greco di
origine albanese: da questa danza Mikis Theodorakis ha tratto
ispirazione nel 1964 per comporre la musica del film Zorba
il greco,
da quel momento chiamata sirtaki (vedi Rebetiko).
8.
Non è l’amore che va via
Il
rumore che si sente all'inizio di questo brano, è quello con cui
Papos si accende l'ennesima sigaretta. Per questo motivo l'autore ha
pensato a lungo di poter aprire il disco con questa canzone. "Papos
è un fumatore accanito", dice Capossela. "Quando gli ho
chiesto che ginnastica facesse, lui mi ha risposto serafico:
'tossisco'". È dunque anche questo - quello di accendersi una
sigaretta con lo Zippo - un esercizio; ancora una volta, seppur
allegoricamente, la ginnastica torna a dire la sua, esprimendosi in
virtù di un'azione che con la salute ha ben poco a che vedere, ma
che in un certo senso riguarda ancora la 'nudità' esistenziale
(ginnastica deriva dal greco 'gymnos' che significa 'nudo') del
genere umano. In ogni caso il rebetis è anche questo: "Un uomo
che sceglie di affondare con le sue stesse armi, senza chiedere a
niente e a nessuno", rivela Capossela. La canzone incisa per la
prima volta nell'album del cantautore italiano Camera
a Sud, cambia
volto passando da un tempo ternario a un tempo binario, e spostando
la tonalità dal Do- al Sol-. "L'ho cantato molto più bassa",
afferma Capossela, "per cercare di evocare con maggiore
efficacia l’atmosfera di un porto, la risacca, la taverna".
L'approdo ideale di Marinai,
profeti e balene.
9.
Corre il soldato
In
questo brano, Papos esprime il suo talento con il bouzouki elettrico.
Sviluppa un'introduzione particolare che in gergo viene chiamata
taksim. Si può considerare un'ouverture, in cui uno strumento si
stacca dagli altri per introdurre singolarmente un tema musicale. In
realtà ne esistono di tre tipi, a seconda del punto in cui viene
collocato: perciò si può palare di bas taksim, ara taksim e ulama
taksim. In questo caso il riferimento è al bas taksim, quello di
apertura. Viene utilizzato spesso in Grecia, ma anche in Turchia e in
molti paesi arabi. "È un brano che mi sembrava idoneo a questo
lavoro, anche per ciò che riguarda le liriche", confida
Capossela. "Parla, infatti, della guerra in Kosovo, una terra
con espliciti rimandi alla cultura ellenica". Rispetto alla
versione originale comparsa su Canzoni
a manovella
del 2000, il brano guarda più a est come pathos e intenzioni,
trovando forse, in questo contesto, la sua migliore espressione.
10.
Signora Luna
“Questa
canzone è il mio canto notturno di un pastore errante per l’Asia”,
dice Capossela, riferendosi al capolavoro leopardiano. Il testo
deriva da un’antica canzone dell’Ecuador, ascoltata per la prima
volta dal cantautore italiano al mitico Florida, di Modena; e si
riferisce a un dialogo con la Luna, come se fosse una figura umana.
Alla Luna, dunque, chiede se i luccichii che percepisce nel cielo
corrispondano agli occhi della madre scomparsa. "Signora Luna
che mi accompagni per tutto il mondo, puoi spiegarmi dov'è la strada
che porta a lei?". Dal punto di vista degli arrangiamenti, “mi
piace definire questa canzone un esercizio di ellenico western",
dice Capossela, "contemplando una sorta di trasposizione ideale
dalla frontiera macedone a quella dell'antico West americano".
All'autore piace, dunque, l'idea di dare vita a un brano dal quale
possa scaturire l'atmosfera che potrebbe contraddistinguere le fasi
di poco precedenti un duello fra pistoleri; a cominciare dal
paesaggio macedone, così brullo e spettrale da poter facilmente
essere messo a confronto con certi angoli statunitensi. E
paradossalmente i pistoleri potrebbero essere proprio i musicisti
coinvolti nel progetto, con la loro profonda grecità e con i loro
duelli a suon di virtuosismi. L'immaginario potrebbe essere espresso
molto bene da un qualunque film di Milco Mancevski, regista macedone
di grande talento, premiato nel 2007 come Ambasciatore della cultura
della Repubblica di Macedonia e nel 1994 con il Leone d'oro
veneziano; è portavoce di quello che qualcuno ha definito il western
europeo, tipico di film come Dust.
11.
Morna
Posizionare
Morna
- storico pezzo del disco del 1996, Il
ballo di San Vito
- all'undicesima traccia non è un caso. Si vuole, infatti,
sottolineare l'epilogo di un viaggio, di una deriva, di un
vagabondaggio per i mari del Mediterraneo; Morna
è la risacca, è il porto da cui si parte e a cui si arriva, è il
degno finale di un pellegrinaggio iniziato con Marinai,
Profeti e Balene
e proseguito con la prima parte di questo disco. Giungendo, dunque,
al termine è ora di rientrare, di rincasare, di fare i conti con il
destino. Il testo prende spunto da una composizione del poeta e
giornalista greco (nato ad Alessandria d'Egitto) Kontantinos Kafavis,
in particolare nel verso "quando è sprecata la vita una volta,
è sprecata in ogni dove". La morna è un'altra musica
dell'assenza, derivante dall'incrocio fra la musica africana e il
fado portoghese; una delle più vive a tenaci, proprio come il
rebetiko. Nasce presso le Isole di Capo Verde e può contare su
figure di spicco come Cesaria Evora, venuta a mancare poco tempo fa.
Fra gli altri rappresentanti di questo mondo musicale, c'è anche una
moltitudine di poeti e pensatori che, esattamente come i rebetis, non
sono mai saliti su un palco per cantare e mostrare al mondo il
proprio talento; hanno sempre cantato di sbieco, vivendo, però, come
i mangas del Pireo la vita di petto, anche in questo caso dimentichi
della possibilità di depositare brani e liriche che poi sarebbero
diventate leggendarie. Morna
in
questo disco assume un potere ancor maggiore di quello che aveva
all'inizio, trasformandosi in un'onda che finalmente (o
sfortunatamente) approda alla costa. C'è un ospite di tutto
riguardo: Ricardo Pereira, uno dei più quotati esponenti della nuova
generazione di suonatori di chitarra portoguesa.
12.
Las Simples Cosas
È
un importante inedito, un bolero, "un ottimo esercizio per il
bouzouki", specifica Capossela, perché si rifà implicitamente
al microcosmo del rebetiko: "Oggi si tende a usare spesso
discorsi contorti e complessi per dare un significato alle cose",
spiega il cantautore, "benché le 'piccole' e importanti cose
della vita possano essere espresse con un solo aggettivo, con una
sola parola. È a questo tipo di comunicazione che si affida il
rebetis, il mangas: per dire a qualcuno ti amo, o ti odio, ci mette
un istante senza dover fare mille giri di parole". In questo
brano non c'è solo il rebetiko, ma anche echi che rimandano alla
morna capoverdiana, al fado portoghese e al tango argentino (tutte
musiche dell'assenza). E non potrebbe essere altrimenti visto che il
pezzo è stato reso celebre soprattutto da Chavela Vargas,
leggendaria figura dell'universo musicale messicano e dell'intera
America Latina: divenne popolare negli anni Sessanta anche in Europa,
specie in Spagna, frequentando esponenti dell'intellighenzia
artistica del tempo fra cui Frida Kahlo e Diego Rivera. La versione
di Capossela è più melodica, più moderna, ma altrettanto incisiva
e coinvolgente, e contraddistinta dal verso più poetico e straziante
nello stesso tempo: "Perché semplice è l'amore e le semplici
cose se le divora il tempo". Anche questo brano, come Morna,
è posto verso la fine del disco, in virtù del suo ritmo lento e
cadenzato, immaginabile al termine di un viaggio, nei pressi di un
porto.
13.
Scivola vai via
“Il
brano perfetto per chiudere questo lavoro, questo viaggio”, dice
Capossela. "Esprime lo strazio dell’onda della risacca, il
tentativo di trattenere le cose e quindi di scivolare via… Questo
struggimento viene perfettamente espresso dal tempo in 9/8 del
zeibekiko". È un esercizio "ginnico" in piano stile,
considerato che, rispetto alla versione originale contenuta in
All’una
e trentacinque circa,
si va a contemplare, appunto, il tempo principe del rebetiko: "Un
tempo tutt'altro che facile da seguire", assicura l'autore
italiano, "dove è come venire aggrediti dai demoni, gli stessi
che circondano l'aura del rebetis che abbandona la sua postazione a
sedere per ballare, in totale solitudine". La cosiddetta 'danza
delle danze' nasce probabilmente con i zeibekidi, una bellicosa tribù
dei turcomanni, nota in medio oriente intorno al 1830. L’ultima
strofa è cantata in greco, grazie al contributo della traduttrice
Vassilis Massalas. Si torna altresì a parlare di "altrove",
inteso come quel senso di nostalgia che ci porta a non essere mai
soddisfatti completamente della vita, ma che offre anche la
consapevolezza che se si vuole andare avanti con dignità occorre la
giusta dose di coraggio e fatalismo.
14.
Come Prima (ghost track)
"Un
capriccio di Kaiti Ndali". Così Capossela definisce la ghost
track di Rebetiko
Gymnastika.
Di fatto la cantante greca, letteralmente innamorata di questo brano,
chiede al cantautore italiano di poterla interpretare e includere nel
disco in fase di preparazione. Capossela è, dunque, lieto di
assecondare la richiesta della cantante ellenica e questo è il
piacevole risultato, con uno sfizio nel finale: la sostituzione del
celebrato "ti amerò" con l'altrettanto blasonato "sagapò",
"ti amo", in greco. Il brano è uno fra i più leggendari
della musica leggera italiana; conosce la fama nel 1958, in seguito
all'operato di Antonio Lardera, un 22enne di Campobasso che si fa
chiamare Tony Dallara. È una piccola rivoluzione, considerato che a
quei tempi si è in piena fase-bel canto alla Frank Sinatra o alla
Nilla Pizzi. E invece in questo caso, Dallara scardina i crismi
dell'epopea melodica del dopoguerra, per cantare a pieni polmoni un
pezzo che nel ritornello addirittura singhiozza, imitando l'approccio
al canto dei Platters. Ma il suo segreto è anche il conferimento di
un movimento a una canzone che in fondo è assimilabile a un lento,
per dare vita al cosiddetto "slow". Si rifà allo stile
terzinato, che anche in questa versione di Ndali emerge in tutta la
sua "vitalità".