sabato 26 settembre 2009

"Viviamo in un mondo scatologico, che come tale si merita ciò che ha"

Roberto Brivio, 250 canzoni depositate alla SIAE, 7 libri pubblicati, collaborazioni con giornali prestigiosi. Oggi cosa sta combinando di bello uno fondatori dei Gufi?
Sto preparando la commedia “Sette chilometri da Gerusalemme”, tratta dal libro di Pino Farinotti, che andrà in scena a novembre presso il Teatro Angelicum. Poi un musical ispirato al libro che l’editore Gelmini ha appena pubblicato “Non truffateci se potete”. Si vende su internet book shop, per il momento. Basta cliccare il titolo per avere notizie a riguardo.
E per ciò che riguarda la musica?
Ho un bel po’ di concerti da fare da qui a Natale. Raccomando soprattutto quelli programmati in occasione della Festa del Teatro: 24 ottobre ore 16 all’Istituto dei ciechi via Vivaio 7 (Milan Blues); 24 Ottobre ore 21 al Politeatro di via Lucania 16 (Milan Blues); 25 ottobre ore 16 alla
Palazzina Liberty (Largo Marinai d’Italia) titolo “Gufologia”.
Recentemente ha anche pubblicato dei cd...
Tre. Uno dedicato all’operetta, “Incidentalia” sugli incidenti che causano le morti bianche e “Canti popolari del lavoro”, una raccolta di padano-country songs. Uscirà a fine Settembre il quarto composto di sole canzoni milanesi. Titolo “Sont Tornà ovvero Milan Blues” .
Di cosa parla il suo ultimo libro?
Delle truffe agli anziani. L’ho scritto a quattro mani con Andrea Ancona, presidente della commissione sicurezza della zona 3. E’ un romanzo sullo spaccato di una famiglia di lavoratori dove un figlio si dedica alla truffa dapprima con successo poi… si sa come queste cose vanno a finire. La storia non è soltanto un pretesto per elencare le truffe e descriverle nei loro particolari ma offre spunti, ricordi e analogie con avventure simili.
Seguendola abbiamo imparato ad ascoltare i canti goliardici... Può dire ai nostri lettori di cosa si tratta?
Sono le canzoni più sporche della terra.
Cioè?
Canzoni che parlano di sesso, sesso, sesso... Ma in maniera grottesca.
La cultura popolare milanese ne è particolarmente ricca?
La cultura milanese non c’entra. Parliamo di un repertorio di respiro nazionale.
Un tempo, quando cantava e recitava con I Gufi, la soprannominavano il “cantamacabro”. Da cosa deriva questo soprannome?
Dal fatto che scrivevo soprattutto canzoni macabre, aventi come protagonisti becchini, cimiteri, bare e funerali.
Quando nasce l’idea di proporre canzoni di questo tipo?
Più o meno nel 1964. Nessuno si occupava di canzoni in salsa gotica.
Il titolo di una sua canzone?
“Cimitero is wonderfull thing” che ha come inizio “ Al cimitero è bello andar con la ragazza per la mano a passeggiar”.
Un aneddoto a riguardo?
Ricordo una volta che presentai con il quartetto nel quale c’era ancora Gianni Magni (scomparso nel ‘92) le canzoni macabre a Chianciano Terme... Sarà stato il 1965. La gente se ne andò boccheggiando!
C’è qualcosa della letteratura noir che l’ha ispirata e/o continua ad ispirarla?
Edgar Allan Poe, da sempre. Fra i nuovi ammiro e mi appassiona Andrea Pinketts.
Nella sua lunga carriera ha fatto anche molta televisione, soprattutto su Antenna Tre. Ricordiamo per esempio “Lo Squizzofrenico” e il “Parapiglio”. E adesso?
Adesso è tutto diverso. Non sono particolarmente interessato alla tv. Sono stato invitato in varie trasmissioni, ma ho sempre rinunciato.
La storia dei Gufi... Come ha conosciuto Patruno e Svampa?
Finita l’Accademia di arte drammatica del Filodrammatici ho iniziato a organizzare spettacoli nei teatri. Un giorno ho chiamato Lino Patruno per farmi la colonna sonora di U.S.A di John Dos Passos, una commedia sulla storia americana. Lui era il leader della Riverside Jazz band. Un musicista nato: Suonava e suona tutt’ora chitarra, banjo, contrabbasso, pianoforte. Autodidatta.
E Svampa?
Me l’ha presentato Patruno. Subito dopo siamo andati a cantare in un cabaret di Piazza Pio X.
Magni invece si è unito più tardi...
Infatti. Lavoravamo assieme in Tv nei programmi di Mago Zurlì. Le mie canzoni avevano bisogno di un mimo comico. Gianni era perfetto.
Quanti anni dura l’esperienza dei Gufi?
Dal 1962 al 1969.
Come mai vi siete sciolti?
Era estate e faceva caldo.
Oggi come sono i rapporti con Lino e Nanni?
Ci telefoniamo, ci facciamo gli auguri, e poco più. Ci diciamo che siamo troppo vecchi per mettere in piedi qualche spettacolo. E forse che siamo anche passati di moda. In ogni caso dal ’69 ci siamo riuniti nell’81 per 40 puntate su Antenna 3 e per andare al festival di S. Remo come ospiti. Nuovo scioglimento, 11 anni di separazione, nel ’92 muore Magni. Da allora poche partecipazioni a qualche show. Non sufficienti per una nuova riunione.
Proprio sicuro?
Mah. Sicuramente ci vorrebbe un produttore e un regista... E comunque manca Magni...
Oggi c’è chi sostiene che la comicità dei Gufi sia stata in parte ereditata dagli artisti che si esibiscono a Zelig e a Colorado Café. Cosa ne pensa di queste due “nuove” realtà cabarettistiche?
Ti rispondo lapidario: viviamo in un mondo scatologico, che come tale si merita ciò che ha. Zelig e Colorado sono i prodotti dei tempi. Pare funzionino. Gli artisti riempiono le sale, indipendentemente dai contenuti e dalla cultura. Noi arrivavamo a teatro dopo anni di gavetta. Oggi ci arrivano in un giorno. Il nostro pubblico dice che come negli anni 60/70 non ce n’è. Il pubblico di oggi tra vent’anni dirà le stesse cose sostenendo che come i beniamini di adesso non se ne formano più. E così avanti.
Può fare qualche nome?
Evito. Non voglio innalzare né abbassare.
Lei nasce nel 1938 a Milano. Cosa si ricorda di quei tempi?
Nasco nella zona di Porta Venezia. Da bambino ricordo soprattutto l’oratorio di San Gregorio dove passavo gran parte del mio tempo a giocare. E i Teatri dove mi portava mio padre. Alla Combattenti di via Tadino, al Pace o Venezia, non ricordo bene, al Puccini, al Novecento.
E durante la guerra?
Eravamo sfollati nel Friuli. Al ritorno, la città era una maceria unica.
Differenze rispetto ad oggi?
C’erano in giro pochissime macchine.
Assistette all’esposizione a Loreto dei corpi di Mussolini e Petacci?
No. Ero un bambinetto. Ci andò però mia zia, comunista convinta. Non fu uno spettacolo onorevole come non è onorevole la guerra in qualsiasi modo la si esprima.
Brivio è un cognome tipicamente lombardo. Da dove arriva la sua famiglia?
Sono di origine brianzola da parte di padre. Mia madre, invece, viene dal Friuli. C’è anche in provincia di Lecco un paese che si chiama Brivio, col castello omonimo. Ho preso le armi di Oldrado Brivio, l’antenato che ci viveva. Uccise la moglie fedifraga e scomparve. Lo ritrovarono trecento anni dopo nell’intercapedine del soffitto tra piano terra e primo piano. Sulla corazza era appiccicato un foglietto con scritto “Vorrei tanto… suicidarmi”, la mia prima canzone macabra.

mercoledì 9 settembre 2009

'Twenty Questions' a Fiorenza Vallino

Nome, cognome e luogo di nascita...
Fiorenza Vallino, Cagliari.
Che soprannome aveva da piccola?
Ahimè nessuno, solo il diminutivo ‘Fiore’.
Il primo ricordo dell’infanzia?
Felice al mare, con una palla di sabbia che mi sembrava enorme... avrò avuto sì e no due anni.
Su che giornale ha scritto il primo articolo?
Su un giornale d’arte che poi ha chiuso (spero non per colpa mia).
Il nome del giornalista che, più di altri, ha influito sul suo stile...
Camilla Cederna.
In che percentuale gli assunti regolarmente in una redazione si possono dire ‘raccomandati’?
Attualmente nessuno. In passato qualcuno ma in numero irrilevante.
Lenin diceva che “i comunisti sono la parte progressiva più risoluta dei partiti operai di tutti i paesi; Mussolini che “il fascismo non è un partito, ma un movimento”. Quale frase preferisce?
Lenin, ma ormai riguarda il passato. Sono frasi vecchie, datate.
Cosa ama di Milano?
Il senso di libertà e progresso che mi ha dato arrivando da giovane. Ora questo effetto si è appannato.
E cosa la disgusta?
La sporcizia di muri e marciapiedi, la puzza di traffico... l’elenco è lungo.
Un vizio al quale non può rinunciare...
Ho rinunciato al fumo con grande fatica e grande soddisfazione. Un vizio alla volta, per favore!
Proust diceva: “Lasciamo le donne belle agli uomini senza immaginazione”. Come interpreta questa massima?
Che anche a fine '800 si dibatteva sull'apparire e sulla sostanza.
L’effetto serra: è tutta colpa dell’uomo... Oppure: l’uomo non c’entra niente, è la natura che fa il suo corso...
L’uomo c’entra eccome e la natura si ribella.
Scopriremo gli extraterrestri fra il 2015 e il 2025. È il parere di molti scienziati. Dovesse incontrarne uno affamato, che piatto gli consiglierebbe?
Un piatto di spaghetti al pomodoro. Originale, no?
Quanto è difficile pronunciare la parola “ti amo”?
Se non la si dice a sproposito è facilissimo.
Emily Dickinson spiegava così l’aldilà: “È invisibile come la musica, ma concreto come il suono”. Margherita Hack invece: “Io non credo assolutamente né a Dio, né all'anima, né all'aldilà: l’anima è nel nostro cervello”. Dove si ritrova di più?
Da laica, in Margherita Hack. Ma come è irresistibile la Dickinson...
Quante mail riceve in media al giorno il direttore di un giornale importante come il suo?
Tante. Ma non le ho mai contate, perderei troppo tempo.
E quante ore passa al telefono?
Ancora troppo. Per fortuna ci sono le e-mail.
Salari bassi per molti, altissimi per pochi. È la cosiddetta crescita diseguale, (in inglese “growing unequal”, secondo l’Ocse (Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico). Perché l’uguaglianza sociale continua a essere un’utopia?
Perché la società è divisa in classi. Ma una società senza classi non è percorribile.
La sera prima di addormentarsi... un quotidiano o un romanzo?
Un romanzo, nove su dieci.
Un pomeriggio di relax: un disco rock o un cd di musica classica?
Rock, che passione.

martedì 8 settembre 2009

"Nessun legame ontologico fra la Lega e la destra o il centro-destra"

Iniziamo con un commento sui risultati dell'ultimo ballottaggio...
Diciamo che il nostro obiettivo era vincere, ci siamo riusciti e quindi siamo contenti. Certo è stata una vittoria risicata... peraltro nella sola città di Milano il centro sinistra ha ottenuto più voti di noi. In ogni caso siamo felici di poter governare e rimediare ai cinque anni di governo condotti dal centro-sinistra.
Milanoweb ha seguito con interesse la campagna elettorale intervistando tutti gli esponenti politici impegnati nella corsa a Palazzo Isimbardi. Relativamente al vincitore, però, abbiamo avuto l'impressione di un politico un po’ stereotipato e caratterialmente poco incisivo...
Beh, Penati giocava in casa, dopo cinque anni di governo s'è fatto una grossa esperienza. Probabilmente Podestà è una persona più timida e riservata, meno predisposto ad affrontare il circo mediatico. Comunque un buon politico non si giudica da questi aspetti.
E sui risultati della Lega cosa ci racconti?
La Lega è andata molto bene. La soddisfazione maggiore è stata quella di conquistare Comuni tradizionalmente orientati a sinistra come Cornaredo, Brugherio, Cesano Maderno, Cassina De Pecchi... Anche in città siamo andati molto bene. Al collegio Affori il 17% dei voti erano a favore della Lega. Era dal 1994 che non ottenevamo simili risultati.
Dunque le prospettive per governare, visto che anche la Provincia (dopo il Comune e la Regione) è in mano al centro-destra, sono ottime...
Direi di sì. Adesso siamo davvero nelle condizioni di poter governare serenamente. Da una parte è gratificante, dall’altra però ci rendiamo conto che non ci sono più alibi: dobbiamo per forza fare bene.
Cosa faresti immediatamente per la città di Milano?
Cercherei di sistemare la questione traffico. Non è possibile rimanere ogni giorno in coda per ore prima di raggiungere il lavoro. In secondo luogo interverrei sui quartieri popolari, sui giardini, sulle aree verdi. A volte ho l'impressione di vivere in una città un po’ troppo scialba.
A proposito di traffico, cosa ne pensi dell'Ecopass?
Secondo me è una proposta inutile. È costoso e non ha significative ripercussioni sull’ambiente. In più ci sono un mucchio di ricorsi in atto che fanno perdere tempo e soldi.
Proposte alternative?
Per esempio la chiusura del traffico in centro e le targhe alterne organizzate con maggiore criterio.
Salvini e l'idea di destinare posti riservati alle donne in metrò...
Sì lo so, ha sollevato un gran polverone questa mia proposta, ma io mi riferivo alle donne in generale, musulmane, cristiane, buddiste... D’altronde è necessario intervenire in qualche modo per dare la massima sicurezza a un cittadino che vuole prendere i mezzi pubblici. Per altre vie anche altri politici si stanno dando da fare per raggiungere questo scopo. Penati, per esempio, ha speso 5milioni di euro per i vigilantes.
Il presidente della commissione Politiche sociali di Palazzo Marino, Aldo Brandirali (Pdl), dice che “Salvini pur di conquistare voti è disposto a rischiare la ferocia umanitaria. È scandaloso il ruolo diseducativo che Salvini svolge”...
Ti dico solo che Brandirali quando era giovane faceva parte del partito maoista. Oggi è diventato un esponente ciellino del Pdl.
Quindi?
Il personaggio si commenta da solo.
Continui a spingere per la nascita del Comune di Lambrate?
Lambrate era già Comune prima del fascismo. In realtà la Lega appoggia un'iniziativa che parte dagli abitanti del quartiere milanese bistrattati dalle amministrazioni comunali.
Ci sono altre situazioni analoghe?
Sicuramente, Baggio per esempio.
C'è chi parla di te e di Giorgetti come dei due “gemelli del gol” (Pulici e Graziani) del grande Toro. Ti piace come definizione?
Io e Giorgetti lavoriamo insieme da moltissimo tempo e fra le noi le cose vanno alla perfezione. Lui è più istituzionale, è un bocconiano, io meno...
Chi sono i tuoi maestri politici?
Umberto Bossi.
E quelli di pensiero?
A parte Bossi?
A parte Bossi...
Beh, a Vattimo preferisco Marco Aurelio. Mi piace anche Massimo Fini, certe sue intuizioni sono stuzzicanti.
Due parole sulla tua esperienza a Strasburgo membro della Commissione per la cultura e l’istruzione...
Ho toccato con mano l'Europa, affrontando temi diversi come l'Erasmus, internet... In realtà ogni nostra proposta è rimasta solo allo stadio di bozza.
E i comunisti padani?
Ne facevo parte all'inizio della mia avventura politica. Io ero a capo dei comunisti padani. Era il 1997...
Curioso sentire il termine Padania abbinato a ‘comunisti’...
Ma guarda che in realtà non c'è nessun legame ontologico fra la Lega e la destra o il centro destra. È solo un luogo comune. A livello europeo movimenti come il nostro sono schierati con il centro sinistra.
La Lega, quindi, è un'anomalia...
Se consideri che Penati lancia moniti come 'zero campi nomadi', vorrei sapere cosa non è un'anomalia...
Legami con Forza Nuova?
Nessuno, a parte forse qualche idea sull'immigrazione.

lunedì 7 settembre 2009

"Il dialetto lombardo non esiste"

Fa discutere la proposta leghista di insegnare il dialetto nelle scuole. Qual è il parere di uno dei massimi glottologi italiani?
La proposta è inattuabile nella pratica e, se attuata, pericolosa per l’esistenza stessa dei dialetti. Nasce da una evidente ignoranza di cosa sia il dialetto e di come funzioni. Il dialetto è una lingua di uso orale e locale, che ha la caratteristica di essere utilizzata accanto e insieme a un’altra lingua scritta di uso ufficiale e sopralocale, cioè di più ampia diffusone (per esempio una lingua nazionale). In Italia ogni paese ha il suo dialetto, a volte ogni frazione, per cui ci saranno non meno di 10mila dialetti. Il punto è: quale dialetto si vorrebbe insegnare? Il dialetto locale, diverso da paese a paese e spesso incomprensibile a pochi chilometri di distanza, lo può insegnare solo chi già lo parla, ma avrebbe poco senso insegnarlo, perché verrebbe capito solo in paese da chi lo sa già. Se invece si intende, come pare, insegnare non il dialetto locale, ma un dialetto di un centro maggiore (per esempio il dialetto milanese), allora si imporrebbe una lingua estranea, con la conseguenza inevitabile di eliminare il dialetto locale.
Pertanto, l’insegnamento del dialetto, sarebbe paradossalmente a sfavore della sua salvaguardia...
L’insegnamento del dialetto nelle scuole non porterebbe, infatti, alla sua conservazione, ma alla sua trasformazione e alla sua scomparsa a favore dei dialetti più forti o addirittura di forme artificiali di dialetto.
Si sente parlare di dialetto lombardo, ma in realtà il lombardo è un insieme di tante parlate, fra loro simili, ma sostanzialmente diverse. Quali sono i principali raggruppamenti dialettali del lombardo?
È vero, il dialetto lombardo non esiste. I dialetti lombardi sono divisi in due grandi gruppi: quelli occidentali e quelli orientali. I primi comprendono il milanese e i dialetti del contado affini al milanese (dialetti brianzoli, comaschi, lecchesi, varesini), i dialetti valtellinesi, in Svizzera i dialetti grigionesi e ticinesi (che sono una sorta di milanese arcaico), in Piemonte i dialetti novaresi, della Valsesia e dell’Ossola, quelli poi di Gallarate e Busto Arsizio, i dialetti pavesi, che hanno punti di contatto coi vicini dialetti piemontesi, liguri, emiliani. I secondi, invece, riguardano i dialetti bergamaschi, bresciani, cremaschi, cremonesi, e i dialetti mantovani, che presentano analogie con i vicini dialetti emiliani. Non esiste un dialetto lombardo, ma tanti dialetti lombardi, diversi e a volte incomprensibili reciprocamente.
Basta pensare all’incontro fra un milanese e un bergamasco...
Infatti.
“Falchet”, “Monsciasch”, “Brianzoeu”... Cosa si intende con queste affermazioni?
“Falchèt” è un termine spregiativo che indica chi si comporta da campagnolo; veniva usato dal milanese di città per ridicolizzare il provinciale che cala in città; “musciasch” vuol dire monzese e “brianzoeu” brianzolo.
Qual è il dialetto “locale” maggiormente utilizzato?
Ogni dialetto è locale, quello maggiormente utilizzato è quello con più parlanti. Non abbiamo dati sicuri in proposito, perché i dati ISTAT sono basati sull’autovalutazione, cioè sulla domanda: “Lei parla italiano o dialetto?”. Ma naturalmente non tutti hanno la stessa concezione del dialetto e non tutti sanno veramente come parlano, e quindi le risposte a questo tipo di domande esplicite sono quanto mai infide. Un esempio: i veneti spesso pensano di parlare in dialetto anche quando parlano un italiano regionale con cadenza dialettale.
Perché molte persone parlano ancora il dialetto, ma non sono capaci di scriverlo?Perché il dialetto è una lingua orale, che si parla ma non si scrive. Gli usi scritti del dialetto sono molto rari e sempre letterari, dovuti cioè all’iniziativa di poeti e commediografi, che scrivono in dialetto sul modello della letteratura in italiano.
Crede che con le nuove generazioni si perderà definitivamente la capacità di parlare come i nostri nonni?
Temo di sì, per due ragioni. La prima è che il dialetto, come ogni lingua orale, è in continua trasformazione, un mutamento non avvertito dai parlanti, ma costante, tanto che il dialetto dei nipoti è diverso – poco o tanto – da quello dei nonni. La seconda è che la natura di una lingua dipende dalle condizioni sociali del suo uso; il dialetto è la lingua di comunità piccole e isolate, per questo i dialetti sono tantissimi e diversi; per conservarsi si dovranno perpetuare queste condizioni sociali, cosa difficile nell’epoca delle televisione e della globalizzazione, e non so quanto augurabile. Sicuramente la perdita dei dialetti è un impoverimento, ma la soluzione non credo sia la creazione di riserve, di ghetti linguistici.
Esistono molte pubblicazioni in dialetto?
Esistono molti studi sui dialetti italiani; purtroppo però negli ultimi trent’anni sono stati progressivamente eliminati gli insegnamenti di Dialettologia italiana all’università, e quindi anche gli studi sui dialetti ne hanno risentito. Speriamo che in futuro si possa rinvigorire la grande tradizione dialettologica italiana.
Conosce “La Vus dell’Insubria”?
No.
Il milanese non ha un riconoscimento giuridico e non è oggetto di tutela da parte della Repubblica italiana, mentre il lombardo è riconosciuto ufficiosamente con la Raccomandazione n. 928 del 7 ottobre 1981 del Consiglio d’Europa. Che senso ha preservare una lingua che di fatto non esiste (perché rappresentata, come si è detto, da più idiomi) a scapito di una che, invece, ha dei ‘connotati’ ben precisi?
Infatti è una sciocchezza; il milanese esiste, il lombardo no (vedi sopra, domanda 2); volendo, lo si può creare artificialmente, ma non si può dire che c’è.
Glottologi specializzati nelle lingue dell’est italiano dicono che il ladino, in certe zone, risente dell’influenza del tedesco e dello sloveno. Per quanto riguarda il milanese, quali sono gli idiomi che l’influenzano di più?
Le lingue vengono influenzate dalle altre lingue con cui vengono a contatto, quindi il milanese è stato influenzato soprattutto dall’italiano; in misura minore, nel passato, dal francese e dallo spagnolo.
È corretto, quindi, asserire che la parola “fioeu” è influenzata dal francese - in quanto “oeu” può essere assimilato all’“eu” francese – e che la “u” di “malumor” è figlia della “u” tedesca?
No. La ö e la ü si trovano nel milanese, nel francese, nel tedesco, e in molte altre lingue, senza che necessariamente vi siano stati dei rapporti reciproci. Comunque il milanese e il francese sono imparentati, in quanto entrambi derivano da un latino che ha subito l’influsso delle lingue celtiche (infatti il milanese è annoverato tra i dialetti gallo-italici).
Incuriosisce poi il fatto che molti verbi in dialetto milanese sono seguiti da una preposizione o un avverbio che ne altera il significato. Per esempio “trà” (tirare), può diventare “trà via” (gettare), o “trà su” (vomitare) o “trà giò (buttar giù). Accade anche con l’inglese, per esempio in “get up”, “get down”, “get off”... Ci sono analogie fra le due lingue?
No. Si tratta di una strategia sintattica particolare, presente in molte lingue del tutto indipendenti tra loro. È un fenomeno che nasce nell’uso orale e tende ad essere eliminato nelle lingue scritte.
C’è qualche parola che rimanda addirittura alle popolazioni celtiche pre-romane che occuparono la Lombardia per secoli?
Sì, ma non tanto alle lingue celtiche in sé, quanto agli elementi celtici penetrati nel latino, e che quindi si ritrovano, in gran parte, anche in italiano (per esempio le parole carro, camicia, benna).
Si ritiene che siano dovuti all’influsso celtico alcune particolarità fonetiche che accomunano i dialetti lombardi al francese, per esempio il suono ü di cui parlavamo prima.
Per concludere... lei che dialetto parla?
La mia lingua materna è l’italiano; capisco bene il milanese, il dialetto di mia madre, ma lo parlo male; per ragioni di studio, capisco abbastanza bene anche gli altri dialetti lombardi.

venerdì 4 settembre 2009

'Twenty Questions' a Giacomo Airoldi

Nome, cognome e luogo di nascita...
Giacomo Airoldi, Busto Arsizio.
Che soprannome aveva da piccolo?
Geki.
Il primo ricordo dell’infanzia?
Le prime esperienze su una macchina a pedali...
Su che giornale ha scritto il primo articolo?
Telesette.
Il nome del giornalista che, più di altri, ha influito sul suo stile...
A costo di apparire presuntuoso, nessuno.
In che percentuale gli assunti regolarmente in una redazione si possono dire ‘raccomandati’?
Dipende dai giornali.
Lenin diceva che “i comunisti sono la parte progressiva più risoluta dei partiti operai di tutti i paesi; Mussolini che “il fascismo non è un partito, ma un movimento”. Quale frase preferisce?
Ho sempre preferito essere in movimento.
Cosa ama di Milano?
Le librerie.
E cosa la disgusta?
Il fatto che con un po’ di buona volontà da parte di tutti si potrebbe renderla quasi vivibile, ma questa buona volontà non c’è.
Un vizio al quale non può rinunciare...
L’Inter.
Proust diceva: “Lasciamo le donne belle agli uomini senza immaginazione”. Come interpreta questa massima?
Non mi è mai piaciuto Proust.
L’effetto serra: è tutta colpa dell’uomo... Oppure: l’uomo non c’entra niente, è la natura che fa il suo corso...
Anche l’uomo ha messo del suo.
Scopriremo gli extraterrestri fra il 2015 e il 2025. È il parere di molti scienziati. Dovesse incontrarne uno affamato, che piatto gli consiglierebbe?
Tagliatelle.
Quanto è difficile pronunciare la parola “ti amo”?
È facilissimo.
Emily Dickinson spiegava così l’aldilà: “È invisibile come la musica, ma concreto come il suono”. Margherita Hack invece: “Io non credo assolutamente né a Dio, né all'anima, né all'aldilà: l’anima è nel nostro cervello”. Dove si ritrova di più?
Purtroppo con la Hack.
Quante mail riceve in media al giorno il direttore di un giornale importante come il suo?
Cinquanta, ma il mio giornale non è così importante.
E quante ore passa al telefono?
Due ore.
Salari bassi per molti, altissimi per pochi. È la cosiddetta crescita diseguale, (in inglese “growing unequal”, secondo l’Ocse (Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico). Perché l’uguaglianza sociale continua a essere un’utopia?
Perché l’egoismo regna sovrano.
La sera prima di addormentarsi... un quotidiano o un romanzo?
Due o tre romanzi (meglio gialli).
Un pomeriggio di relax: un disco rock o un cd di musica classica?
Classica mai, qualche volta rock.

"Il coraggio intellettuale di Celine"

Duilio Canu candidato alle prossime elezioni provinciali per Forza Nuova: è questo - data anche la giovane età - il traguardo più importante raggiunto nel corso della sua carriera politica?
In realtà, per noi, essere candidati non è un traguardo da raggiungere ma l’inizio di un grande impegno. Vediamo, quindi, l’elezione a una carica amministrativa o politica come una strada fatta di sacrificio, abnegazione e grandi responsabilità, non come una meta fine a se stessa. Questo ci differenzia dai grandi partiti, dove il lavoro dei “papabili” finisce nel momento in cui riescono ad ottenere un posto in lista bloccata o in un collegio sicuro.
Cosa succede in questi casi?
Questo sistema ‘malato’ vige ormai da qualche decennio e porta a una specie di selezione al contrario: chi ha capacità, tempra e spirito di servizio nei confronti del “popolo sovrano” viene scavalcato nelle cariche da chi, al contrario, è solo spinto da ambizione personale, egocentrismo, vanità, fame di potere.
E chi ottiene cariche senza meritarle?
Diviene arrogante con i deboli e strisciante con i potenti.
La prima cosa che farebbe se potesse amministrare una città come Milano?
Sostituirei l’80% dei dirigenti e dei funzionari pubblici, non si può “rivoluzionare” un sistema con la burocrazia che rema contro.
Altro?
Metterei in campo una grande politica di edilizia popolare, abolirei l’affitto sostituendolo con il concetto delle “case a riscatto” con criteri di assegnazione che abbiano come riferimento la preferenza nazionale, creerei una moneta comunale sotto forma di buoni spesa, renderei la vita difficile agli immigrati che delinquono...
Quanti sono i milanesi iscritti a Forza Nuova?
La sezione milanese conta circa 150 iscritti. I sostenitori sono poco più di un migliaio. Poi ci sono molti simpatizzanti in maggioranza giovanissimi fra i 13 e i 16 anni.
Cosa ne pensa del lavoro svolto da Penati fino a oggi?
Mah. Diciamo che, in generale, riesce a far tornare i conti. Come un buon amministratore di condominio. Ma la Politica è un’altra cosa. Per uscire da questa crisi abbiamo bisogno di un approccio radicale. Amministrare non basta più.
Con quali gruppi politici milanesi interagisce maggiormente Forza Nuova?
Dobbiamo capire cosa si intende per interazione: a volte interagiamo anche con l’estrema sinistra, magari con toni poco pacati, comunque interagiamo. Scherzi a parte, Forza Nuova è sempre disposta al confronto. Molte nostre proposte, peraltro, vengono condivise da molti altri gruppi politici, sia di destra che di sinistra. Purtroppo, però, spesso il buonsenso lascia il posto ai pregiudizi, le barriere ideologiche impediscono un confronto sereno: molti ci vedono come un concorrente pericoloso, altri non vogliono mettere in discussione quello in cui hanno creduto per anni.
Quindi?
A conti fatti, rapporti profondi con altri gruppi politici, non ce ne sono.
Qual è il problema cittadino che la impensierisce di più?
L’immigrazione e la crisi economica.
In che modo li risolverebbe?
L’immigrazione la risolverei obbligando gli immigrati a rispettare le leggi degli italiani e a non usufruire di assurde agevolazioni ‘sociali’: con le mosse giuste il problema immigrati potrebbe essere completamente risolto in cinque anni. La crisi economica, invece, la risolverei minando lo strapotere delle banche con l’emissione di una moneta popolare libera da usura.
Uno dei valori più importanti di Forza Nuova è la famiglia. Però, a Milano, si sente dire che gran parte dei matrimoni finiscono male. E se la famiglia fosse un concetto sorpassato?
Il concetto di famiglia è fondamentale come la maternità. È il nucleo centrale di qualunque civiltà. La crisi di cui parla è un problema culturale di cui la politica deve farsi carico. Se non partiamo da questo presupposto ci resta solo la fantascienza per immaginare il futuro del mondo.
Contro, quindi, anche al gaypride?
Il gay che? Non ci occupiamo di pagliacciate.
E all’aborto?
Assolutamente. L’aborto è un omicidio. Il peggiore perché è commesso nei confronti di una persona innocente per definizione: un bambino non ancora nato.
Domenica scorsa c’è stato il concerto di Skoll presso i giardini Ramelli. Ci dice qualcosa di questo artista e della realtà musicale dei gruppi di destra?
Federico “Skoll” è un giovane cantautore di quella che noi chiamiamo “musica alternativa” definizione che risale ai primi anni ’70: interpreta le sue canzoni con una chitarra o accompagnato da un pianoforte. Ci sono molti gruppi che usano sonorità diverse: rock melodico, metal, punk rock...
Chi era Sergio Ramelli?
Un ragazzo milanese, diciassettenne, militante del movimento sociale italiano. Il 29 aprile del 1975 morì dopo 48 giorni di agonia: era rimasto a terra dopo un’aggressione a colpi di spranga a seguito di un agguato organizzato e messo in atto da studenti di medicina militanti di estrema sinistra.
Ma Sergio è sempre vivo nei vostri cuori...
Ogni anno, il 29 aprile, la “destra radicale” milanese si riunisce per ricordare il suo sacrificio. Sergio è per noi un martire, una bandiera.
Perché non ha mai aderito al MSI?
Non sono mai stato neofascista, conservatore, filo-atlantista, filo-sionista. Per questo non sono mai stato iscritto al MSI.
In un’intervista che ha rilasciato poco tempo fa dice che essere di destra oggi significa innanzitutto essere antifascisti e solidali con gli immigrati. Eppure per l’opinione pubblica è vero il contrario...
Mai detta o pensata una cosa del genere. Probabilmente si confonde con Fini o, forse, con Alemanno...
Alcuni scienziati dicono che fra qualche migliaio d’anni avremo una sola razza di uomini con la pelle color cioccolato, il risultato di millenni di incroci fra etnie diverse. Come vede l’imminente futuro della società a livello internazionale?
Uno dei problemi dei nostri giorni è proprio quello di dare troppo credito agli scienziati, considerandoli alla stregua di sacerdoti di una nuova religione. La scienza si deve basare sui fatti e i fatti indicano che le etnie tendono a conservarsi non a mischiarsi. Noi abbiamo un motto: “Una terra per ogni popolo, ad ogni popolo la sua terra”. Quando questo diventerà un principio universalmente accettato il mondo non vedrà più guerre.
Quando si sente parlare di centri sociali si pensa sempre agli spazi autogestiti dalla sinistra. Eppure ce ne sono anche di destra. Potrebbe citare i più noti?
A Milano nei primi anni ’90 ho dato vita al primo centro sociale “di destra”, Spazio libero. Non era in uno stabile occupato, pagavamo regolarmente l’affitto. Al suo interno si organizzavano concerti, conferenze, feste. Avevamo una sala prove, un bar, locali nei quali si discuteva, si studiava la storia, si parlava di politica. Oggi in piazza Aspromonte c’è il Presidio: qui abbiamo un bar, una cucina, una sala prove, una sala concerti, una biblioteca con migliaia di titoli, sono una decina le associazioni ospitate al suo interno, tutte si rifanno ai Valori fondanti di Forza Nuova.
Cosa li differenzia da un centro sociale di sinistra?
Sostanzialmente le idee che girano al loro interno.
Ha visitato la mostra dei futuristi a Palazzo reale?
Certamente. Era ora che, al più grande movimento artistico del secolo scorso, venisse dato lo spazio meritato. Meglio tardi che mai.
I libri che hanno influenzato di più il suo pensiero?
Diciamo il 50% dei libri che ho letto e che leggo hanno contribuito e contribuiscono a formare il mio pensiero che è e rimane il mio pensiero. Quindi: nessuna influenza.
D’Annunzio o Celine?
L’arditismo di D’Annunzio, il coraggio intellettuale di Celine.

"Tutti dobbiamo rinunciare a qualcosa"

Iniziamo parlando di una delle proposte più interessanti messe in campo dall’Udc: il Patto sociale per il milanese, “un nuovo welfare ambrosiano per aiutare le famiglie, le imprese e i giovani”. Enrico Marcora ne è l’ideatore. Come è arrivato fin qui?
Partendo dal presupposto che per uscire dalla crisi non è più ammessa l’utopia né le promesse, ma serve un piano straordinario di interventi condivisi tra istituzioni, così da essere tutti responsabili. Io, in particolare, essendo l’unico candidato cattolico mi ispiro all’alto magistero del Cardinale Tettamanzi, promotore di una società solidale, attenta all’inclusione, vicina alle famiglie, per me il vero centro del welfare locale. Dobbiamo rilanciare la solidarietà ambrosiana, come è già accaduto nel dopoguerra.
Scendendo nel dettaglio scopriamo che le famiglie con un reddito certificato fino a 20mila euro l’anno avranno diritto ad una free-card per i trasporti, completamente gratuiti in tutta la provincia. Un’iniziativa mai attuata finora...
Tutti dobbiamo contribuire, tutti dobbiamo rinunciare a qualcosa. Le famiglie non possono più sostenere costi così alti per la mobilità indispensabile, così contribuiamo direttamente, distribuendo le nuove free card. Bisogna ridare ossigeno al potere d’acquisto delle famiglie.
C’è poi la necessità di coniugare il benessere economico delle famiglie all’ambiente. Tutte le famiglie che faranno uso del car sharing o di altre forme di mobilità a impatto zero avranno quindi diritto ad un bonus di 2mila euro per acquistare computer o potenziare l’attuale dotazione. Ci dice due cose su questa iniziativa?
L’ambiente è una ricchezza - l’Europa ha già indicato le linee di sviluppo - e Milano è la città più europea d’Italia, così il car sharing o il bike sharing possono essere una risposta, a impatto zero, a favore del risparmio delle famiglie.
Tema sanità. Il candidato dell’Udc milanese propone – per le famiglie più in difficoltà – la possibilità di sottoporsi a visite mediche gratuite. In che modo i cittadini meno abbienti potranno concretamente beneficiare di questa opportunità?
Nel mio piano di rilancio del milanese ho previsto una rete di eccellenze della sanità, presente in ogni comune con ambulatori condivisi tra i migliori centri di diagnostica e di cura, così che i più poveri non debbano affrontare spostamenti. Il milanese potrà essere il centro europeo per la salute, un territorio dove guarire e star bene grazie alle eccellenti risorse umane e professionali dei nostri medici e dei nostri tecnici.
Cosa ne pensa della proposta dei leghisti di destinare alle donne milanesi spazi riservati della metropolitana?
Semplicemente il peggio, con il loro razzismo vorrebbero coinvolgere la Lombardia in un nuovo medioevo, dimenticando quanto le risorse degli immigrati arricchiscano la nostra società. Noi crediamo nelle regole, nelle leggi della Repubblica e chi sbaglia deve pagare, subito e certamente: questo vale per gli stranieri quanto per gli italiani.
In quale altro modo – secondo lei – è possibile mettere freno all’incremento degli stupri?
Aumentando le risorse, gli stipendi e le tecnologie delle forze dell’ordine soprattutto risanando le aree dismesse dove trovano spazio le inammissibili bidonville.
Riguardo Expo in questi giorni preoccupa la notizia di non avere abbastanza fondi per costruire la linea 6 della metropolitana. Quando anche Milano potrà definitivamente contare su una rete di trasporti efficace, come accade nelle più importanti città europee?
Quando la classe dirigente saprà rinunciare ad una porzione di potere a favore dei cittadini, e quando la politica smetterà di rincorrere le telecamere. In attesa che volino gli asini mi sono candidato gratuitamente alla guida dell’Expo, da insediare in una sede economica e in periferia.
Le statistiche dicono che oggi 14 milanesi su cento sono stranieri. La preoccupa l’idea di una società multirazziale?
Tutt’altro, voglio contribuire a far crescere una società multietnica, purché siano pienamente rispettate le leggi e le regole della società civile.
Tettamanzi propone di andare incontro alle esigenze degli islamici creando nuove moschee di quartiere. Lei cosa ne pensa?
La libertà di culto è sancita dalla Costituzione, scritta da molti cattolici eccezionali. Le nostre radici giudaico cristiane ci consentono di dialogare con tutti, senza mai perdere una briciola della nostra identità. Le moschee devono essere luoghi sicuri e protetti dove la maggioranza degli islamici moderati, integrati da anni nel nostro territorio possano pregare. Se ci sarà il bisogno di una nuova moschea, la realizzeremo.
Ha mai fatto un giro nella moschea di viale Jenner?
Sì, certo.
Cosa le piace e cosa no dei suoi due principali avversari politici, Filippo Penati e Guido Podestà?
Rivolgo a loro la stessa domanda…
Gli oratori sono fra le più importanti realtà cristiano-cattoliche della storia della Lombardia e soprattutto del milanese. Oggi, però, scopriamo che queste strutture sono sempre più deserte. Secondo lei è ancora possibile educare secondo la filosofia di don Bosco?
Oggi, più che mai, dobbiamo aumentare le risorse agli oratori e don Bosco sarà sempre una luce intellettuale e religiosa attuale.
In che modo tornerebbe a investire nell’agricoltura?
Riscoprendo il valore delle tradizioni, dei saperi e della grande cultura agricola lombarda, affiancando però le migliori tecnologie e sostenendo strategicamente le imprese più innovative.

mercoledì 2 settembre 2009

"Facevo il magazziniere"

Dente è uno dei maggiori rappresentanti della scena musicale indie milanese e non solo. Il 14 febbraio è uscito il suo ultimo lavoro “L’amore non è bello”, particolarmente apprezzato dalla redazione di Milanoweb. Lo incontriamo nel suo appartamento di Milano, zona Loreto, pieno di chitarre, microfoni, cd... È appena rientrato da Roma, dove si è esibito dal vivo. Beviamo insieme un caffé, dopodichè partiamo con l’intervista...

Ciao Dente, allora come è andata nella capitale?
Molto bene, grazie.
Per iniziare ci racconti qualcosa dei tuoi esordi?
Ho iniziato a fare il cantautore un po’ tardi, dopo la maturità (Dente è perito elettronico, ndr). Conseguito il diploma ho frequentato per due anni il Dams, la scuola di musica, ma poi ho abbandonato gli studi perché avevo bisogno di guadagnare.
Ma hai continuato a suonare?
Suonavo la chitarra nel gruppo La Spina, con il quale ho registrato due dischi presto caduti nel dimenticatoio.
Come ti mantenevi?
Facevo il magazziniere.
Poi?
Poi non ne potevo più di fare quella vita e sono andato a stare a Milano, per frequentare un corso di grafica. Un giorno mi esibisco in un locale di Fidenza e vengo notato dalla responsabile dell’etichetta Jestrai e da lì è iniziato tutto.
Ti hanno proposto un contratto?
Esattamente. Con loro ho inciso il secondo disco “Non c’è due senza te”.
E il primo disco?
L’avevo già registrato, da solo. Si intitola “Anice in bocca”. Ora non è più in circolazione. Le poche copie stampate sono state vendute ai concerti.
Quando diventi ‘milanese’?
Nel 2005.
Cosa ascoltavi prima di diventare Dente?
Musica italiana, per esempio Lucio Battisti, ma anche i primi Tiromancino. Poi gran parte di ciò che andava a metà anni Novanta a livello internazionale, grunge soprattutto.
Come sei finito alla Ghost Records?
Scaduto il contratto con la Jestrai mi sono trovato un giorno a proporre dei pezzi al fianco di Aldo Nove (alla Fnac di via Torino, ndr) che presentava un suo libro. Alla fine dell’incontro un responsabile della EMI mi è venuto incontro proponendomi un contratto editoriale. Da lì ci siamo mossi per individuare una nuova etichetta che abbiamo appunto trovato nella label varesina.
E la Jestrai come ha reagito?
Non molto bene.
È comprensibile.
Senza dubbio, tuttavia non ho potuto fare a meno di imboccare la strada in grado di offrirmi maggiori chance professionali.
Che tipo di chitarrista sei?
Non di certo un virtuoso. Baso le linee melodiche su giri di accordi convenzionali.
Sei anche pianista?
Sto iniziando adesso.
Invece la ‘r’ moscia ce l’hai da sempre...
Quella sì. È una caratteristica genetica di tutti quelli che vivono a cavallo fra Parma e Piacenza.
Torni spesso a Fidenza?
Il meno possibile.
Come mai?
È un luogo deprimente. La realtà umana di quei posti è deprimente.
Invece Milano...
Qui si respira una atmosfera diversa. C’è maggiore recettività da parte della gente...
Dunque ti senti un milanese...
Diciamo che mi trovo meglio a Milano...
C’è qualche angolo della città al quale sei particolarmente affezionato?
Questo appartamento.
Sei in affitto?
Sì, e la mia padrona di casa è una persona adorabile.
Altri posti di Milano che ti aggradano?
Probabilmente l‘Isola’ (quartiere milanese che sorge in zona Garibaldi, ndr)...
Ci sono anche dei locali dove si suona dal vivo...
C’è il “Frida”.
Vi hai mai suonato?
Mai. Non mi sembra ben strutturato per le esibizioni live.
Veniamo al tuo ultimo disco. Laffranchi del Corriere della Sera e Veronesi di Blow Up, due fra i migliori critici musicali per ciò che riguarda l’indie, ti hanno paragonato a Lucio Battisti. Cosa ne pensi?
Mi sembra un po’ esagerato, tuttavia non può che farmi piacere. Amo Battisti e l’ho ascoltato a lungo. Probabilmente, a livello inconscio, nelle mie canzoni traspare un po’ questa mia devozione per l’artista di Poggio Bustone.
Dove hai registrato il nuovo disco?
A ‘La Sauna’ di Varese. È uno studio molto bello. Abbiamo utilizzato esclusivamente suoni analogici, le vecchie bobine per intenderci...
Ci avete quindi messo un bel po’ di tempo...
In effetti.
Quando sono nate le canzoni di “L’amore non è bello”?
Da un paio d’anni a questa parte.
E il singolo “Vieni a vivere”?
L’anno scorso.
Nelle canzoni di “L’amore non è bello” c’è sempre una ‘lei’. È sempre la stessa o cambia?
È quasi sempre la stessa.
Vale a dire?
La mia fidanzata.
Cosa è cambiato rispetto a “Non c’è due senza te?”.
Stilisticamente poco o nulla. È cambiata la produzione, in quest’ultimo caso molto più accurata, grazie ai tecnici della Ghost Records.
A proposito del rapporto con alcuni tuoi colleghi, cosa ci dici di Vasco Brondi?
Vasco ha un grande talento. Ci siamo conosciuti prima del suo successo tramite Myspace. Mi aveva dato dei provini che ho subito apprezzato. Ci siamo esibiti spesso dal vivo insieme.
Un aneddoto?
Una volta al Sagapò (locale sui Navigli) c’erano a vederci solo 5 persone. Recentemente al Circolo degli Artisti a Roma ce n’erano più di 600.
Annie Hall?
È uno dei migliori gruppi italiani. Se cantassero in italiano sarebbe il mio gruppo preferito in assoluto.
Sia Vasco che gli Annie Hall hanno lavorato al tuo disco...
Hanno fatto i cori in “Buon appetito” (traccia 5, ndr).
E Bugo?
Anche lui è un grande artista. Ci siamo anche sentiti oggi.
Tre dischi ai quali non potresti mai rinunciare?
“Anima latina” di Battisti, “Harvest” di Neil Young e “Buffalo Bill” di De Gregori.
Da qualche parte abbiamo letto che giudichi le tue canzoni come ‘fotografie’. Che rapporto hai con la fotografia. Ci racconti qualcosa della copertina?
Amo la fotografia. Un tempo vi dedicavo molto più tempo. Mi piaceva lavorare col bianco e nero ed elaborare gli scatti artigianalmente. Oggi, figuriamoci, è quasi impossibile trovare una pellicola b/n... La cover, invece, è opera di Beatrice De Giacomo, una mia amica. L’ho vista sul suo sito e ho immediatamente pensato che facesse al caso mio.
È la metrò di Milano?
Di Londra.
La tua squadra del cuore?
Non seguo il calcio.
Il tuo piatto preferito?
Le lasagne... ma solo e soltanto quelle fatte da mia mamma.
Smanetti di più con Facebook o Myspace?
Bah, direi che li utilizzo egualmente, soprattutto per lavoro.
Futuro imminente?
Un po’ di date dal vivo, almeno fino a quest’estate, poi si vedrà.
Magari ci vediamo a Seregno ad aprile...
Perché no?

martedì 1 settembre 2009

Sempre più milanesi folgorati da Allah

È un fenomeno poco conosciuto ma che – dopo Londra e Parigi – sta ora riguardando anche Milano: sempre più giovani si convertono all’Islam. Cosa si cela dietro questa nuova tendenza?
Anche se il numero sta lentamente crescendo, penso non si superino le 10/15mila unità nel corso degli ultimi 30 anni. Non vedo cioè il ‘pericolo’ di conversioni di massa. Gli italiani sono 60milioni e ben pochi mi paiono propensi ad abbracciare una fede che impedirebbe loro di bere vino o mangiare salumi. È però innegabile che, accanto al crescere dell’islamofobia, non mancano casi di simpatia per l’islam e persino di conversione, dovute probabilmente alla ricerca di nuovi punti di riferimento dopo la crisi delle grandi ideologie secolariste.
Cosa si intende per crisi ideologica?
Liberalismo e comunismo sono ideologie secolari che hanno a lungo prevalso, ma sono entrare in crisi a causa della globalizzazione, mentre si sarebbe pensato l’opposto. Invece il disorientamento induce a rifugiarsi in identità forti, o almeno percepite come tali. Quelle etniche e religiose stanno vivendo un certo revival, nel bene e nel male (basti pensare a quanto è accaduto nei Balcani solo pochi anni fa).
Le donne come fanno ad abbracciare una fede che per l’immaginario collettivo è sinonimo di integralismo e, soprattutto, maschilismo?
Alcune possono essere attirate da un modello di donna meno mercificato, più fedele ai ruoli di moglie e di madre, forse anche intimorite dalla concorrenza estetica con le altre che assume spesso toni esasperati. Può essere pacificante, anche se non manca in esse la percezione che il ruolo dominante del maschio è una caratteristica antropologica dei popoli islamici, ma da questo punto di vista alcune sono impegnate a redimere l’islam da tali contaminazioni culturali che svantaggiano il genere femminile.
Cos’è la ‘shahada’?
È la professione di fede che afferma: “Non c’è altro Dio che Iddio e Maometto è il Suo inviato”. Basta pronunciarla con fede di fronte a testimoni per diventare musulmani. L’aspetto dottrinale, il catechismo insomma, non è molto sviluppato e quindi aderire all’islam è piuttosto semplice in quanto religione scarsamente interessata alla teologia.
Quanti sono i nuovi musulmani milanesi? Le stime parlano di migliaia di giovani...
Non ho dati e credo che sarebbe difficile quantificare facendo stime attendibili.
Cos’è Coreis?
La Comunità Religiosa Islamica è solo uno dei gruppi musulmani operanti a Milano. Sono quasi tutti italiani convertiti poiché si tratta di un movimento esoterico che risponde a esigenze tipiche degli occidentali in ricerca di una spiritualità che non paiono saper più trovare nella fede d’origine. Il fatto che sia però poco seguita dagli immigrati fa sorgere delle domande sul tipo di lettura che offre dell’islam, forse troppo distante da quella dei paesi originariamente musulmani e quindi scarsamente comprensibile da quanti provengono da essi.
Perché nella cultura cristiana Maometto è sempre stato considerato un ciarlatano, a differenza della cultura islamica che, invece, ritiene Gesù un vero profeta?
Una nuova religione può includere precedenti profeti, come il cristianesimo ha fatto con quelli biblici, ma quelle che l’hanno preceduta non hanno la stessa facilità: gli ebrei non hanno riconosciuto Gesù, i cristiani non riconoscono Maometto, i musulmani rifiutano profeti che sarebbero sorti dopo il loro (es. quello della fede Bahai che dall’islam deriva). Il termine profeta è poi concepito in modi diversi da ciascuno: dire che lo sono tutti rischia di generare confusione. Altra cosa sono la conoscenza e il rispetto reciproco che vanno comunque perseguiti.
“I musulmani”, è il titolo del suo libro pubblicato da Il Mulino nel 2007. Ci sarà un seguito?
C’è già stato un altro volume della stessa serie intitolato “Il Corano” e sempre per il Mulino ho poi pubblicato “Moschee inquiete”, mentre con Edizioni Lavoro ho da poco pubblicato “Yalla Italia! Le vere sfide dell’integrazione di arabi e musulmani nel nostro paese” con prefazione di Gad Lerner.
L’imam Abu Imad e il presidente Abdel Shaari sono due figure cardine dell’islamismo milanese. Il primo è stato condannato in secondo grado per associazione a delinquere finalizzata al terrorismo, e il secondo è stato ritenuto ‘persona non gradita’ da un grande Paese musulmano come l’Egitto. Come biasimare il padre di un giovane milanese che vuole diventare musulmano?
L’istituto islamico di viale Jenner non è l’unico centro milanese. Altri sono più pluralisti, aperti al quartiere e alle parrocchie vicine, hanno gruppi femminili e di giovani. Non mi pare che vi siano state accuse o processi nei loro confronti: l’islam è plurale sia qui che nei luoghi d’origine. Penso siano ben pochi quanti si avvicinano all’islam per ragioni politiche.
Anche in una città aperta come Milano si fa fatica a comprendere certi aspetti della religione ispirata da Allah. Ancora oggi – in particolare - c’è chi punta il dito sulla Jihad, sostenendo che nel sangue di ogni musulmano c’è l’intenzione costante di voler sopraffare il prossimo con la spada in nome di Dio. Cosa c’è di vero in queste affermazioni?
Solo una piccola minoranza radicale ha simili posizioni, peraltro affermatesi con forza nel mondo musulmano solo di recente. Gli aspetti spirituali, comunitari ed etici credo siano prevalenti nell’appeal che alcuni possono avvertire.
Peraltro, secondo gli islamici, il termine Jihad ha un significato completamente diverso da ‘guerra santa’...
Dovrebbe significare sforzo anzitutto interiore per il proprio perfezionamento, ma ha anche significato lotta politica e militare: non molto tempo fa per le nostre strade si scandivano slogan quali “Vietnam rosso, Vietnam libero” oppure “Lo stato borghese si abbatte, non si cambia”… Hamas e Hizbollah in fondo non dicono cose troppo diverse.
Quali sono i punti di ritrovo dei milanesi convertitesi all’Islam? E com’è il loro dialogo con gli stranieri provenienti dai Paesi arabi?
A parte la Coreis penso che l’associazione Giovani Musulmani Italiani di viale Monza 50 siano i luoghi dove sono maggiormente concentrati. Qui imparano tra l’altro che vi sono islam diversi: africano e non solo arabo, sciita e non solo sunnita… e poi ciascuno ha un percorso diverso. Se la fede di questi giovani saprà diventare islam D’Europa e non solo trapiantato IN Europa come un corpo estraneo potrebbe dare un contributo a molti nodi irrisolti del rapporto islam-modernità.
Chi è René Guénon?
Un esoterico che sosteneva l’unità delle varie tradizioni religiose all’interno di un’unica religio perennis di cui esse sarebbero solo apparentemente forme diverse, ma in realtà unite nell’origine e nelle finalità. Un fedele comune non capisce bene cosa questo possa voler dire e i rischi di sincretismo o di irenismo (orientamento teologico tendente all’unione delle diverse confessioni religiose, ndr) sono forti.
Quando musulmani e cristiani riusciranno ad andare d’accordo?
Quando non si considereranno più esponenti di divergenti od opposti schieramenti, ma come donne e uomini di fede che hanno in comune molte cose, pur rispettandosi nelle reciproche, distinte e irriducibilmente diverse identità.

"In questo periodo va molto l'elettronica anni Ottanta"

“Black Hole”, vale a dire “Buco Nero”. Da dove nasce il nome del locale?
È per via del tipo di arredamento che contraddistingueva la struttura quando l’ho presa in gestione. C’erano degli oggetti – come una consolle vecchia ed annerita, una specie di astronave, delle facce da alieni – che ricordavano lo spazio e così...
Quando inizia l’avventura del Black Hole? Nel 1998. L’anno scorso abbiamo festeggiato i dieci anni di attività.
Chi sono i frequentatori abituali del locale? Ce ne sono di ogni genere ed età. Si va dai ragazzi di 18 anni amanti per esempio delle serate dark, a signorotti di 50 e 60 anni, molto più interessati al jazz, al pop, o al rock. Il Back Hole è seguito anche da molti ragazzi universitari.
Spazi a disposizione?
Ne abbiamo tre: la Sala Rossa, la Sala Leoni e l’area esterna. La prima è quella più importante, completamente ristrutturata nel 2002. È caratterizzata da comodi divanetti disposti in aree da 7 a 15 posti a sedere, posizionati lungo il perimetro del locale. C’è un palco dove ospitiamo band che suonano dal vivo e il bancone del bar. La Sala dei Leoni è più piccola della prima ed è stata inaugurata nel 2003. In questa sede le persone amano tirare tardi in una cornice elegante e confortevole. Il ‘Giardino estivo’ risale al 2003. Sono 1800 metri quadri all’aperto – che possono accogliere fino a 2.500 persone - con molti gazebo, poltrone in vimini, tavoli, un American bar e naturalmente una spaziosa pista dove ballare.
Al posto del Black Hole tempo fa sorgeva lo stabilimento dell’“Amuchina”. Cosa resta oggi della vecchia struttura?
Resta lo scheletro del locale, diciamo la parte esterna. All’interno abbiamo rifatto tutto, a partire dalle vasche che venivano utilizzate per produrre il disinfettante.
Ci racconti qualcosa della serata dark?
È una serata che organizziamo da nove anni e che ogni anno ci dà soddisfazioni. Si tiene tutti i mercoledì al Black Hole. Di solito apriamo le serate dark con un gruppo musicale, in seguito – dopo la mezzanotte – comincia il lavoro dei Dj che prosegue fino alle 5 del mattino.
E delle altre serate?
Il venerdì lo dedichiamo soprattutto all’indie pop. Il sabato alla musica commerciale e all’elettronica anni Ottanta.
Quali sono i gruppi musicali preferiti dai frequentatori del Black Hole?
In questo periodo va molto l’elettronica anni Ottanta, stile Depeche Mode.
Qualcosa di indie alla Klaxon, Kooks...
Al venerdì.
Ci dici il nome di qualche Dj?
Max Martino, Mr Ico B...
E le band dal vivo che musica propongono?
Un po’ di tutto. Pop, metal, elettronica. Ogni tanto abbiamo anche delle cover band.
Prossimo appuntamento da non perdere al Black Hole?
Sicuramente la serata dedicata al carnevale di sabato 28 febbraio.

(Intervista condotta il 21 febbraio 09)

"Ho smesso di essere miope e ho iniziato a farmi guardare negli occhi"

Enrico Ruggeri, da due settimane su Italia Uno con il nuovo spettacolo “Quello che le donne non dicono”. Come sono andate le prime due puntate? Più facile chiacchierare con Loredana Berté o Maurizia Paradiso?
Le prime due puntate sono andate bene. Probabilmente è stato un po’ più difficile chiacchierare con Loredana, più propensa ad andare per la sua strada che seguire le indicazioni dell’intervistatore.
Nel 1994, dopo aver inciso “Oggetti smarriti”, intraprendi un tour teatrale con un’orchestra di sole donne. Oggi dedichi la tua nuova trasmissione televisiva a esponenti di spicco del gentil sesso. Cosa si cela dietro la scelta di confrontarsi così da vicino con l’universo femminile?
Un forte e legittimo interesse per le donne. Per quanto riguarda la tv volevo, in più, scardinare il luogo comune secondo il quale le donne si raccontano solo alle donne. Sono infatti convinto che davanti a un uomo che le mette a loro agio, possono arrivare ad aprirsi meglio che in qualunque altra situazione.
Il cromosoma Y dell’uomo è molto più piccolo dell’X femminile e pieno di Dna spazzatura. C’è chi inizia seriamente a pensare che la donna sia davvero superiore all’uomo, benché quest’ultimo abbia i tricipiti più sviluppati...
Non è altro che un luogo comune. È come dire che tutti i gay sono sensibili. Ci saranno dei gay più sensibili, ma anche altri meno sensibili. Allo stesso modo è prevedibile supporre che ci siano donne più intelligenti di alcuni uomini ed altre più stupide. Quel che si può invece dire con certezza è che l’uomo e la donna sono molto diversi fra loro da un punto di vista anatomico e ancor più psicologico. L’uomo è più aggressivo, più forte, la donna è più vulnerabile.
A chi è venuta l’idea del cubo in vetro all’ombra del Duomo di Milano e perché?
Credo sia venuta al direttore Tiraboschi. Io avevo espresso il desiderio di creare una struttura che simboleggiasse la vita e in ogni caso mi piaceva l’idea di condurre la trasmissione in un luogo diverso dal classico studio televisivo.
Quali saranno i prossimi ospiti?
Alessandra Mussolini, Rita Rusic, Susanna Tamaro, Patti Pravo, Anna Tatangelo e Federica Pellegrini.
Enrico Ruggeri comincia la sua carriera di presentatore nel 2005 con “Il bivio”. Dove nasce il desiderio di governare il piccolo schermo?
Dal fatto che l’ho criticato moltissimo. E siccome non mi piace parlare male di cose che non so fare... il passo è stato breve. Anche per questo che non faccio il giornalista: spesso il critico parla male di cose che non sa fare sostenendo tesi sconclusionate. In pratica non volevo trovarmi nella situazione di sentirmi dire ‘prova a farla tu una buona televisione’.
Paolo Bonolis, “Il senso della vita”, Fabio Fazio, “Che tempo fa”, Daria Bignardi, “Le invasioni barbariche”. Tre modi di interrogare mondi e persone. In chi ti riconosci di più?
Forse in un quarto che non hai menzionato: Enrico Mentana. Secondo me è il più bravo di tutti per la sua capacità di gestire le situazioni più difficili e più diverse fra loro. Casi anche molto drammatici dove un avverbio fuori luogo può davvero costarti la reputazione. Dei tre che mi hai proposto probabilmente quello che stimo di più è Paolo Bonolis.
5 giugno 1957, la tua data di nascita. Cosa ricordi della Milano della tua infanzia? Dove abitavi e che ambienti frequentavi?
Ho abitato fino a dieci anni in via Morelli, vicino a viale Maino, poi sono andato a vivere dalle parti di Porta Romana. Era una Milano molto diversa da quella di oggi dove potevi giocare a pallone in mezzo alla strada, più facile da vivere. Era una città che aveva finalmente risolto il problema dell’immigrazione, accettando di buon occhio i tanti meridionali che durante il periodo post-bellico non avevano avuto vita facile. C’era poi la nebbia e la grande Inter di Herrera. Vincemmo la Coppa Campioni nel 1963... ricordo ancora quel che mangiai la sera del trionfo.
Gli occhiali che fine hanno fatto?
Semplicemente, un giorno, ho deciso di farmi operare, e così non ho più dovuto ricorrere agli occhiali. Ho smesso di essere miope e ho iniziato a farmi guardare negli occhi.
Correva l’anno 1972 e frequentavi il liceo “Berchet”. Come te la cavavi con le declinazioni del latino? Ricordi i tuoi dischi preferiti di quel periodo?
All’epoca mi piaceva il progressive. Quindi dischi di gruppi come Emerson, Lake e Palmer, Jethro Tull, Gentle Giant... in pratica la musica bianca anglosassone. Poi sono arrivati i Roxy Music e Lou Reed. Del liceo, in compenso, non ricordo molto... fino alla terza declinazione. In ogni caso c’era il sei politico che ti salvava.
A proposito di sei politico... I primi anni Settanta sono anni caldi. A scuola i professori propongono soprattutto Marx e Gramsci, pochissimo Nietzsche e Schopenhauer, D’Annunzio e Leopardi. Poi un giorno due tuoi compagni prendono in mano il microfono ed esultano: il commissario Calabresi è stato freddato davanti alla sua abitazione da esponenti di Lotta Continua...
È stato giustiziato dal proletariato.
Come hai vissuto questo periodo?
Erano anni ingiusti, violentissimi... Non esisteva il dialogo. I professori, un po’per paura, un po’ per militanza politica, erano faziosissimi. Ci davano da studiare Gramsci di continuo, benché non fosse particolarmente esaltante. D’altra parte molti periodi storici venivano completamente omessi dal programma scolastico. Mi riferisco per esempio al Risorgimento giudicato troppo ‘marziale’. In filosofia si passava da Hegel a Marx trascurando tutti gli altri giganti del pensiero come Schopenhauer, Nietzsche, Kierkegaard. Insomma, abbiamo avuto una educazione incompleta e superomologata.
Il 4 ottobre 1977 ti esibisci con i Decibel – praticamente il tuo primo vero gruppo – presso la discoteca Piccola Brodway che sorgeva in via Redi, angolo corso Buenos Aires. È il periodo dei Sex Pistols e Lou Reed. All’appuntamento si presentano rappresentanti del movimento punk (allora considerato di destra) e di Avanguardia Operaia. Risultato: botte da orbi e il giorno dopo finite su tutti i giornali. È da lì che è iniziata la tua carriera?
Direi di sì, anche se, in realtà, il concerto non ci fu. Il nostro pretesto infatti fu semplicemente quello di pubblicizzare un evento (con cartelloni sparsi strategicamente per la città) per sollevare un calderone e attirare l’attenzione, cosa di cui oggi, sinceramente, mi vergogno un po’. In ogni caso le cose andarono proprio come avevamo sperato. Ci furono degli scontri e qualche ragazzo finì all’ospedale. Noi invece finimmo su tutti i giornali e di lì a poco (fine novembre) al Castello di Carimate per registrare il nostro primo disco.
Riflettendo sulla tua carriera viene da pensare che ti piacciano soprattutto le cose “fatte in casa”. La maggior parte dei tuoi collaboratori, infatti, sono persone alle quali sei legato da anni. Ci sono per esempio Silvio Crippa, tuo produttore dal 1977, Luigi Schivaone, tuo chitarrista dai primi anni Ottanta...
È vero. Mi piace poter lavorare con dei veri amici e poter instaurare con loro rapporti professionali duraturi. Sono convinto della necessità di essere contornato da persone che non hanno problemi a dirti le cose in faccia, anche se sono esternazioni che possono dare fastidio. Servono, invece, a migliorasi e a crescere. Diffido, invece, dell’idea di confrontarmi con personaggi bluff in grado di assolvere ogni mio desiderio, di ridere a ogni mia battuta, incrementando in verità il senso di solitudine e di nevrosi che spesso condiziona la vita di un artista.
Nel 1980 la tua prima apparizione al Festival di Sanremo con “Contessa”. Nel 1987 il primo posto con “Si può dare di più” (in compagnia di Umberto Tozzi e Gianni Morandi), e il premio della critica per “Quello che le donne non dicono”, interpretata da Fiorella Mannoia. Nel 1993, altra vittoria – questa volta in solitaria - con “Mistero”. Quante volte hai messo piede all’Ariston per il Festival dei fiori?
Se non sbaglio ci sono andato sei volte. La prima è stata memorabile. Eravamo diversissimi da tutto ciò che veniva proposto in quegli anni. Inevitabilmente abbiamo guadagnato visibilità. A Sanremo nel 1987, invece, è stato molto gratificante. Vinsi come interprete con una canzone sostanzialmente nazionalpopolare a fianco di Morandi e Tozzi, e poi come autore (insieme a Schiavone) grazie alla canzone cantata da Fiorella Mannoia che ricevette il premio della critica. Fu per me una doppia conferma: delle mie doti canore e di autore di testi.
Cristina Barbieri, nome d’arte Diana Est, corista di Ivan Cattaneo, nipote di Mario Lavezzi, fa il botto nel 1982 con una tua canzone “Le Louvre”... Sai che fine ha fatto?
L’ho sentita qualche giorno fa su Radio Popolare... ma credo che non canti più.
Nel 1989 la prima raccolta di racconti, “La giostra”; nel 1995 la raccolta di poesie “Per pudore”; nel 2000 la seconda raccolta di racconti, “Piccoli mostri”. A quando il primo romanzo di Ruggeri?
Quando riuscirò a scriverne uno bello. Per ora ne ho un paio piuttosto brutti che giacciono nel cassetto. In realtà non mi è facile confrontarmi con la stesura di un romanzo. Si deve stare per troppo tempo con la stessa idea in testa, cosa che – stancandomi in fretta - non mi riesce bene. Preferisco assecondare cinquanta idee in un anno...
Nel 1996 festeggi i tre milioni di dischi venduti, una cifra oggi – per via di internet – verosimilmente irraggiungibile. Come immagini il futuro della discografia?
Non ci sarà più la discografia. E di conseguenza non ci saranno più le grandi star musicali, ma tanti piccoli artisti in qualche modo celebri nel proprio contesto sociale, nel proprio quartiere, su un determinato canale televisivo o sito internet. Siamo destinati a un mondo in cui metà delle persone sarà un pochino famosa: ‘tutti avranno il loro quarto d’ora di celebrità’, diceva Andy Warhol. La cosa triste, però, è che il Fabrizio De Andrè del 2012 non avrà mai modo di emergere e di guadagnare ciò che si merita.
Nei primi anni Ottanta – dopo varie incomprensioni con la “Spaghetti Records”, la vecchia casa discografica - dicesti che non saresti più rimasto un anno intero senza fare niente e hai infatti mantenuto la promessa: ad oggi sono 26 i dischi che hai pubblicato, una media da fare invidia a Bob Dylan (che ne ha pubblicati più di 40, ma lui è nato nel 1941). Si può sapere quante canzoni hai composto in tutto e quante sono quelle che ancora riposano in un cassetto?
In genere compongo una quarantina di pezzi per disco. Quelli che rimangono nel cassetto, però, non vedranno mai la luce perché non sono venuti abbastanza bene.
Magari con un bootleg...
Sono contrario a questo tipo di prodotti. Prendiamo l’esempio Jimi Hendrix. Escono sempre suoi nuovi bootleg... ma sono progressivamente e inevitabilmente sempre più brutti.
Componi alla chitarra o al pianoforte?
Al Pianoforte e alla chitarra.
Nel 2003 per festeggiare i 25 anni di carriera esce il disco “Gli occhi del musicista”, uno fra i lavori di Ruggeri preferiti dalla redazione di Milanoweb per la sua voglia di raccontare storie in bilico fra passato e presente, e la volontà di cimentarsi con strumentazioni folk. Come nascono “Primavera a Sarajevo” e “Il matrimonio di Maria”?
Nascono come tutte le altre canzoni. Tenendo comunque conto del fatto che, di solito, le canzoni folk hanno una musica allegra e un testo triste e un arrangiamento particolare.
Prendi spunto dalla vita reale per lo sviluppo dei testi?
Qualcosa di reale c’è sempre poi, però, sviluppo la canzone seguendo la mia fantasia. Per esempio vedo uno screzio fra un uomo e una donna, e in seguito do vita a una canzone su due persone che si lasciano per sempre.
Che ne dici del nuovo assessore alla cultura di Milano, Massimiliano Finazzer Flory? Lo conoscevi prima del licenziamento di Vittorio Sgarbi?
È una vicenda che non ho seguito.
Fabrizio De Andrè, Francesco De Gregori, Francesco Guccini. I tre cantautori degli anni Settanta per antonomasia. Chi di loro ti ha dato di più?
Sono tre grandi artisti. Non saprei dire chi mi ha dato di più. De Andrè è interessante dal punto di vista strumentale, Guccini per le liriche, De Gregori per la sua capacità di rinnovarsi.

Intervista condotta presso gli Studi Merak, zona Mecenate (21 novembre 08)